Pubblichiamo la lettera aperta, sottoscritta da 130 medici di Continuità assistenziale, in protesta contro la riforma che prevede l’inaugurazione dei CAU (Centri di Assistenza e Urgenza) e conseguentemente tagli al servizio di Guardia Medica:
“Cari cittadini,
siamo i Medici del Servizio di Continuità Assistenziale (ex Guardia Medica) della Romagna, province di Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna
Scriviamo questa lettera per mettervi al corrente di quanto sta accadendo nella nostra Sanità, con effetti
che rischiano di toccare da vicino il diritto alla Salute di tutti
Negli ultimi mesi sono in corso sempre più frequenti tentativi di tagli dei servizi sanitari mascherati da riorganizzazioni e miglioramenti: il più importante che l’AUSL della Romagna intende attuare in questo momento riguarda la soppressione delle centrali provinciali telefoniche di risposta medica, dedicate esclusivamente alla consulenza telefonica.
Ad oggi, le province di Rimini e Ravenna sono dotate, per il servizio di Guardia Medica, di centrali telefoniche nelle quali operano diversi medici dedicati esclusivamente a quella mansione. Il medico di centrale operativa, dopo una breve anamnesi e una serie di domande, può decidere di consigliare, prescrivere o inviare, a seconda della gravità, una visita medica, eseguita da un medico dedicato alle sole visite domiciliari, oppure un’ambulanza per i casi più gravi.
Nell’ipotesi di soppressione delle centrali mediche operative, verrà introdotta un’unica centrale per tutta la Romagna, dove risponderà personale non sanitario, il cosiddetto “operatore laico”, il quale, non avendo le competenze necessarie, non potrà fornire una consulenza medica e quindi si limiterà semplicemente a trasferire la telefonata al medico locale delle visite domiciliari. Quest’ultimo sarà costretto necessariamente a svolgere una doppia funzione: quella della consulenza telefonica, non più erogata dalla centrale, e quella della visita domiciliare. A tal proposito, ricordiamo che i medici della centrale operativa medica prendono in carico ogni minuto diversi pazienti: se i ruoli dei medici (risposta telefonica ed esecuzione della visita) non resteranno separati, come nell’attuale divisione, si rischierà la perdita di centinaia di prese in carico. Inoltre, gli stessi medici adibiti alla visita domiciliare, presenti sul territorio, subiranno una forte riduzione in termini numerici.
In questo modo il medico che si troverà in servizio, con la propria automobile, dovrà recarsi tempestivamente presso le case dei pazienti e al contempo rispondere al telefono a ogni nuova chiamata, magari mentre sta guidando o, peggio ancora, mentre visita il paziente, dovendo inoltre coprire un’area molto più grande come estensione e popolosità. Ciò ovviamente andrà a discapito dell’attenzione, scrupolosità ed empatia che il medico può impiegare sia nella risposta telefonica, sia nella visita medica al letto del paziente, trovandosi in spiacevoli situazioni di sovraccarico, in particolare nei momenti di picco delle richieste.
Ricordiamo che la creazione delle centrali operative mediche, risalente a più di vent’anni fa, servì proprio a superare un problema che oggi invece si vuole riproporre, sancendo così un enorme passo indietro nella qualità del servizio.
Tutte queste modifiche avrebbero come scopo quello di liberare risorse economiche e umane da impiegare nei CAU (Centri di Assistenza e Urgenza), i nuovi presidi che dovrebbero affiancare i Pronto Soccorso per la gestione dei casi più lievi.
Su questo punto vogliamo essere molto chiari con la popolazione: gran parte di essi saranno delle semplici riconversioni dei Punti di Primo Intervento già esistenti, i quali lavorano già con codici di gravità superiore. I medici che ci lavoreranno saranno quelli dell’attuale Guardia Medica, che non sono in possesso di una formazione adeguata al servizio che l’Azienda vorrebbe erogare.
D’altra parte, non è nell’interesse della stessa Azienda, avere medici veramente formati per svolgere tutti i servizi che vorrebbe fornire. Basti pensare, nel caso di medici chiamati a eseguire prestazioni ecografiche, che l’unica formazione prevista è un corso di poche ore, quando per uno specialista in radiodiagnostica è prevista una formazione di base di quattro anni. Questa situazione è estremamente pericolosa, non solo per i medici ma soprattutto per i pazienti.
Non solo: dai dati a nostra disposizione, gli ex Pronto Soccorso (oggi PPI) lavorano in gran parte con casi moderati e gravi, mentre i casi più lievi rappresentano la minoranza; si palesa così un’insufficienza che già esiste, e che la trasformazione in CAU potrà solamente aggravare.
Ricordiamo quello che è successo pochi giorni fa al CAU di Budrio, dove un paziente è deceduto a causa di un problema cardiaco. Evento drammatico che potrebbe ripetersi a causa non solo della confusione generata dalla distorta denominazione dei CAU (ricordiamo: Centro di Assistenza e Urgenza), ma soprattutto perché i CAU, introdotti in maniera così rapida e caotica, in alcuni territori hanno sostituito il Pronto Soccorso e un esempio ne è proprio Budrio. I CAU, a differenze dei PS, sono strutture create solo ed esclusivamente per problemi di salute urgenti ma non gravi, differenza che i cittadini non possono stabilire da soli leggendo un dépliant informativo, come propone l’azienda, o chiamando una centrale in cui non sono presenti medici, ma “laici”.
Le difficoltà dell’ospedale e dei dipartimenti di emergenza-urgenza sono il risultato di anni di politiche manageriali e di tagli indiscriminati. Ora la stessa sorte potrebbe toccare alla Medicina del Territorio.
Non possiamo essere partecipi e responsabili della lenta eutanasia del Servizio per cui lavoriamo, già messo in difficoltà dai numerosi tagli alla Sanità, a causa dei quali il numero dei medici attuali in servizio è già al di sotto del rapporto ottimale stabilito per legge. Se verranno soppresse sia le centrali operative mediche dedicate sia l’attuale Servizio di Continuità Assistenziale, non riusciremo più a garantire, con la nuova riorganizzazione e smantellamento proposto dall’AUSL, la corretta presa in carico dei pazienti in maniera tempestiva ed efficace.
Se il nostro appello rimarrà inascoltato, non saremo disposti ad accettare nessuna modifica, né nella struttura organizzativa, né tantomeno nel numero e ruolo dei medici in servizio; pertanto, la maggior parte dei circa 160 medici che lavorano per la Continuità Assistenziale della Romagna sarà costretta a dare le dimissioni, poiché non più messa in condizione di offrire alla popolazione l’assistenza medica territoriale notturna e festiva, dalla consulenza medica telefonica alla visita a domicilio”.