È stata resa nota la notizia di una serata in cui «Guido Ottolenghi ha conversato con gli ospiti del Circolo Ravennate e dei Forestieri sulla situazione in Israele e sul conflitto scatenato dall’attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre scorso». Non essendo noi tra le invitate e gli invitati, possiamo prendere in considerazione in proposito solo quanto la nota diramata ai giornali riporta. Il relatore è attualmente presidente della Fondazione Museo Ebraico di Bologna, dopo aver rivestito la carica di Presidente della comunità ebraica della stessa città, nonché imprenditore noto a Ravenna per le attività portuali delle aziende di proprietà della sua famiglia. Leggiamo dunque che avrebbe esposto quelli che vengono chiamati “spunti di riflessione”: «Dai nostri Paesi per ora ricchi, comodi e tranquilli possiamo osservare lo scontro come tifosi dell’una o dell’altra squadra, ma infine anche se crediamo di tifare per la grande Israele, o per la Palestina dal fiume Giordano al mare Mediterraneo (cioè, senza ebrei…), in realtà tifiamo per un modello di società e un sistema di valori. Finora il potere di Hamas (che è un collaborazionista del colonialismo iraniano) e dei suoi sodali è stato sostenuto dal “tifo” politico di alcuni di noi e dai soldi copiosi a loro convogliati senza molti controlli non solo dai loro sponsor islamici, ma anche dall’ONU, dall’Europa e perfino dagli USA, consolidando un sistema di potere e dominio sociale che alimenta il conflitto. Ottolenghi ha così concluso. Anche se la situazione è complessa e nessuno è senza colpe, per il bene nostro e di entrambe le parti prima o poi ognuno di noi dovrà interrogarsi sull’essenziale: dove sta maggiormente il bene e dove sta maggiormente il male? Il resto verrà da sé».
Come Ravenna in Comune prendiamo a nostra volta spunto da queste riflessioni per rappresentare un diverso modo di porre la questione. Un modo che, senza dimenticare le politiche genocidarie messe in atto dallo Stato di Israele sin dalla sua fondazione, vuole porre in rilievo il nocciolo della questione, che non sta nel trovare una parte giusta per cui tifare, in quanto rappresentante di una ipotetica guerra combattuta dal bene contro il male. Le seguenti parole, che condividiamo interamente, non sono nostre ma di Gino Strada (un estratto dal discorso pronunciato nel corso della cerimonia di consegna del Right Livelihood Award 2015):
«La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili. Mi è occorso del tempo per accettare l’idea che una “strategia di guerra” possa includere prassi come quella di inserire, tra gli obiettivi, i bambini e la mutilazione dei bambini del “Paese nemico”. Quei bambini sono per me il simbolo vivente delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili».
I numeri aggiornati a ieri davano quasi 8mila bambini palestinesi assassinati dalla violenza israeliana scatenatasi sulla popolazione civile dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre. Sono quelli che si sono potuti contare perché i loro cadaveri non sono rimasti sotto le macerie di case, scuole e ospedali. Il modello di società e il sistema di valori incarnato dallo Stato di Israele che ha causato tutto ciò deve essere immediatamente fermato dalla comunità internazionale nel rispetto delle leggi e convenzioni internazionali. Le Nazioni Unite lo hanno deciso con la risoluzione dell’Assemblea Generale che martedì ha ottenuto 153 voti a favore con la vergognosa astensione del nostro Paese. Ma il cessate il fuoco umanitario immediato, lo sappiamo bene, non verrà da sé…