“Si ritorna a parlare di Berkan B. Dopo la sentenza di un anno fa, che ha visto riconosciuta, sia pure ridimensionata, la responsabilità penale del Presidente dell’Autorità Portuale, l’11 ottobre, udienza in Cassazione a Roma. In quell’ambito si deciderà se la condanna verrà confermata, modificata, annullata, oppure se il processo dovrà ripartire.
Riassumendo la sentenza, il Presidente dell’Autorità Portuale è stato riconosciuto responsabile della contravvenzione di sversamento di idrocarburi in cooperazione colposa con gli ex proprietari della nave. In sostanza per non aver vigilato e provveduto con tempestività rispetto a quanto stava succedendo, ed anzi, avendo rinnovato per tre volte, con validità retroattiva, la concessione della banchina presso cui si stava consumando la sciagurata demolizione della Berkan B, malgrado i sequestri già operati dalla Medicina del Lavoro e i potenziali pericolo per l’ambiente marino, poi puntualmente concretizzatisi con lo sversamento nelle acque portuali di decine e decine di metri cubi di olio combustibile proveniente dal relitto. Il relitto, infatti, non venne bonificato e affondò dopo essere stato abbandonato in balia degli eventi meteomarini per ben 16 mesi.
Eppure, in seno all’Autorità Portuale esiste un’area adibita esattamente ai controlli su lavoro, sicurezza ed ambiente (totalmente inattiva rispetto al caso per quasi un anno dal disastroso inizio lavori), ed anche la concessione prevedeva specifiche clausole circa eventuali danni causati all’ambiente. Poco importa, per Italia Nostra, se il carburante venne circoscritto dalle panne antinquinamento come sostenuto dalla difesa, o se si fosse in parte diffuso anche esternamente a queste, come sostenuto fermamente e provato, sia pure solo con le foto e filmati agli atti, dalla parte civile.
Nel fascicolo del processo sono peraltro riportati anche immagini e filmati, effettuati dalla Capitaneria di Porto, di uccelli imbrattati e deceduti sulla banchina e sulle rive del “cimitero delle navi” fuori dalle panne di contenimento, e di pesci morti nei dintorni del relitto. E parole pesanti sono riportate nella sentenza di primo grado circa l’inerzia dell’Autorità Portuale, che, secondo il Giudice, pare non si rendesse nemmeno pienamente conto né di quanto stava accadendo, né, soprattutto, delle proprie responsabilità in merito.
La vicenda dunque continua: per le parti civili, al di là dell’esito del processo penale, rimane l’auspicio che episodi del genere non accadano mai più, e che la tutela di un ambiente di vitale importanza come quello costiero e marino – ambiente quanto mai bistrattato in tutti gli ambiti a Ravenna – non venga mai posto in secondo piano, o peggio ignorato.
Nel frattempo, registriamo l’archiviazione definitiva di una denuncia e di una successiva integrazione depositate dall’Autorità Portuale contro la responsabile di Italia Nostra Ravenna per alcuni articoli con cui si tentava di tenere accesi, anche con i toni aspri della disperazione, i riflettori sulla disgraziata vicenda. Persino il Giudice si è domandato se, in assenza di denuncia e di attenzione su quanto stava succedendo, la Berkan B sarebbe mai stata rimossa – con pesantissimo esborso di denaro pubblico – o giacerebbe ancora semiaffondata nel Canale dei Piomboni come le altre tre “caravelle” russe. Tre relitti abbandonati dal 2009 sulle basse rive superstiti di ciò che era il lato ovest della preziosa ed antica zona umida Pialassa dei Piomboni che ora si appresta a divenire, tramite imponenti palificazioni e immani colate di cemento (causa i terreni un tempo paludosi e del tutto inadatti), il terminal container.”
Italia Nostra sezione di Ravenna