Assemblea Pubblica sulla proposta del Piano Territoriale del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola, rispetto alla cava di Monte Tondo, giovedì 4 maggio alle ore 21.00 al Museo Civico di Scienze Naturali “Malmerendi” di Faenza, via Medaglie d’Oro 51.
«Il Parco è stato istituito con lo scopo primario di garantire “La conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione dell’ambiente naturale e del paesaggio”» afferma la Federazione Speleologica regionale. «Con questa proposta di Piano Territoriale non si affronta la “maggiore emergenza ambientale della Vena del Gesso”, ovvero la sua distruzione ad opera della cava di Monte Tondo. Ciò mette in discussione la stessa ragione d’essere del Parco. Serve una seria riflessione per adottare scelte che pongano al centro l’ambiente».
«Condividiamo quindi quanto affermato nei documenti preliminari del Piano e, nello specifico, che
“La conservazione della Natura e della Biodiversità costituisce l’obiettivo fondamentale dell’area protetta” e che “La conservazione e valorizzazione del sistema carsico della Vena del Gesso Romagnola e dell’ambiente geologico in generale costituisce un ulteriore fondamentale obiettivo…” dell’Ente, che poi ribadisce: “I fenomeni carsici sono la principale caratteristica del Parco: la varietà e complessità delle grotte è di grande interesse sia sotto il profilo geologico e speleologico che per gli aspetti biologici, archeologici e paleontologici”.
Coerentemente con quanto affermato nei documenti preliminari la tutela e la conservazione dei fenomeni carsici deve essere una priorità del Piano. Se come scritto “Le zone di Parco, costituiscono il sistema ambientale portante dell’area protetta, rappresentando l’insieme delle aree a maggior pregio naturalistico, contenenti gli elementi di maggiore importanza conservazionistica e, in particolare, l’emergenza della Formazione Gessoso-solfifera e l’insieme del sistema carsico della Vena del Gesso romagnola” riteniamo che questo si concretizzi attraverso l’inserimento in zona B (fatto salvo i sistemi carsici presenti nelle zone A) di tutte le altre grotte, risorgenti e i bacini di assorbimento delle acque carsiche. Purtroppo, la proposta del Piano Territoriale assunta dall’Ente il 18 aprile scorso non va in questa direzione.
Per quanto attiene alla Cava di Monte Tondo, dobbiamo constare ancora una volta la mancata volontà di fare cessare questo disastro ambientale che, come riconosciuto dell’Ente stesso: “…si tratta senza alcun dubbio e di gran lunga della maggiore emergenza ambientale della Vena del Gesso, tale da mettere assolutamente in secondo piano ogni altro problema connesso alle aree carsiche del Parco. …. la durata dell’attività estrattiva, la quantità di prodotto coltivato, le modalità operative rispondenti a sole esigenze economiche, hanno fatto sì che il livello di sopportazione fisico dell’ambiente sia stato ampiamente superato, avviando un processo di degrado gravissimo e superiore ad ogni previsione. L’attività estrattiva deve quindi avvenire, in futuro, in maniera subordinata alla salvaguardia di quanto resta dell’originario ambiente. …”. Nei fatti costatiamo che nella proposta di Piano Territoriale non vengono adottate idonee misure atte ad impedire un’ulteriore distruzione “… della Formazione Gessoso-solfifera” ad opera della cava».
La Federazione rileva una inadeguata tutela del sistema carsico del Re Tiberio e del sistema dei Crivellari. Nei primi documenti risalenti al 26 febbraio 2023, l’Ente si proponeva di inserire in zona B questi sistemi carsici, ma oggi tale decisione è rinviata a dopo la “dismissione dell’attività estrattiva”, come dettato da Saint-Gobain.
Inoltre, viene istituita nell’Area Contigua una sottozona che nei primi documenti era denominata “AC.CAV – aree di cava in attività”, mentre oggi viene ribattezzata “AC.CAV – aree contigue di Monte Tondo”.
«Ci chiediamo e chiediamo all’Ente il perché di tale modifica. La cava, del resto, è ancora in attività, mentre di Monte Tondo rimane poco più che un profondo cratere».
La sottozona viene individuata sulla base di una “specifica morfologia dominante”; ebbene, come è scritto nei documenti, “… tutta l’area è importantissima dal punto di vista del carsismo ipogeo, con sistemi carsici complessi e estesi…”. Sistemi carsici che, ricordiamo, è vietato distruggere o alterare.
«Ci chiediamo e chiediamo perché questi sistemi carsici non vengano inseriti in zona B e invece, parte di essi, ora siano ricompresi in questa sottozona. Ci chiediamo e chiediamo con quali criteri e perché tale sottozona sia stata individuata, non certo per le “specifiche morfologie domanti”. Tra l’altro l’area è interamente inserita nel Sito Rete Natura 2000 e ricomprende anche degli habitat considerati prioritari».
La Federazione accusa la politica: «Il non inserire oggi i fenomeni carsici in zona B e l’avere ricompreso una superficie ben oltre l’attuale limite del PIAE nella sottozona “AC.CAV – aree contigue di Monte Tondo” appare come una precisa scelta politica. La scelta di non volere affrontare la “maggiore emergenza ambientale della Vena del Gesso”.
Questa mancanza di volontà politica è poi confermata anche dalla totale assenza di ogni riferimento al noto “scenario B” contenuto nello studio commissionato dalla Regione e da essa condiviso. Ricordiamo che tale scenario, se adottato, impedisce la distruzione dell’ambiente naturale oltre l’attuale limite di PIAE. Tale scenario, infine, suggerisce che la cava deve cessare l’attività nei prossimi dieci anni. Riteniamo che questo scenario corrisponda appieno alle finalità del Parco e chiediamo per quali motivi non venga nemmeno citato.
A questa mancanza di decisione di proteggere l’ambiente fa eco quanto poi riportato, in modo contraddittorio e giustificativo nei documenti pubblicati, dove leggiamo: “L’attività estrattiva è, naturalmente, molto impattante sul paesaggio della Vena del Gesso romagnola e, in passato, è stata molto dannosa per la conservazione del patrimonio naturale, dei sistemi carsici e degli acquiferi. L’attuale gestione della cava è più attenta agli aspetti legati al carsismo e alla circolazione idrica, ma non è possibile annullare gli impatti di un’attività così fortemente incisiva.” Fermo restando che l’attuale attività estrattiva sta di fatto distruggendo in modo irreversibile parte del sistema carsico del Re Tiberio, “gli impatti di un’attività così fortemente incisiva” possono essere annullati con un impegno volto alla “…qualificazione e la promozione delle attività economiche compatibili con le finalità istitutive del Parco” e “… il recupero di aree degradate nonché la ricostituzione e la difesa degli equilibri ecologici”, compito non solo dell’Ente.
Nei venti anni trascorsi nulla è stato fatto per riconvertire un’attività produttiva basata sulla distruzione di quegli “elementi di maggiore importanza conservazionistica e, in particolare, l’emergenza della Formazione Gessoso-solfifera e l’insieme del sistema carsico della Vena del Gesso romagnola”. Ciò è stato un grave errore, conseguente ad una volontà politica che non può più riproporsi per il futuro.
Il Parco è stato instituito con lo scopo primario di garantire “La conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione dell’ambiente naturale e del paesaggio”. Con questa proposta di Piano Territoriale non si affronta la “maggiore emergenza ambientale della Vena del Gesso”, ovvero la sua distruzione ad opera della cava di Monte Tondo. Ciò mette in discussione la stessa ragione d’essere del Parco. Serve una seria riflessione per adottare scelte che pongano al centro l’ambiente. Un’inversione di rotta che ci auguriamo la Regione e quanti hanno a cuore la Vena del Gesso romagnola riescano a determinare».