Il dibattito sulla sanità che sta tenendo banco in tanti territori della Romagna preoccupa e coinvolge molto Legacoop e le cooperative associate.
Non vi è dubbio, infatti, che il nostro sistema socio-sanitario sia costretto, adesso, a dover affrontare troppe criticità contestualmente: tanti nodi che sono arrivati al pettine nello stesso, drammatico, momento storico.
Ciò avviene mentre la maggior parte delle cooperative sta chiudendo con difficoltà i bilanci 2022 a causa dell’aumento dei costi di gestione, che sono stati riconosciuti in modo problematico dalle stazioni appaltanti. Nel 2023 il possibile rinnovo del CCNL di settore – che resta tuttavia uno dei più bassi del paese – aprirà alla necessità di ulteriori adeguamenti dei contratti di servizi. La cooperazione sociale di Legacoop in Romagna rappresenta 48 cooperative, con 7.100 soci, 6mila occupati e circa 300 milioni di valore della produzione.
Chiediamo che la sanità territoriale ed i servizi socio-sanitari tornino ad essere centrali nel dibattito, al pari di quelli ospedalieri. Chiediamo che si torni a considerare l’integrazione pubblico privata come una risorsa ed un valore aggiunto, a beneficio del territorio e dei romagnoli di tutte le età.
Il mancato rimborso di 5 miliardi alle Regioni da parte dello Stato per le spese Covid è il primo problema, un grande disastro forse annunciato che significa, per la Romagna, dover fare a meno di 87 milioni di spese già sostenute. Non possiamo che essere d’accordo con le preoccupazioni espresse dal Direttore Generale di ASL Romagna e con l’appello in difesa della sanità pubblica lanciato pochi giorni fa a Ravenna dai nostri sindaci. Troppe risorse mancano all’appello per poter immaginare invarianza nei servizi.
La carenza di personale
C’è un altro macro problema, che è quello organizzativo, in particolare per quanto riguarda il personale: medici ed infermieri mancano da anni ormai, in maniera strutturale. A poco, evidentemente, sono servite le assunzioni di massa di operatori fatte dal servizio pubblico nei mesi più bui della pandemia.
Eppure, quelle assunzioni non sono state indolori, qualcuno le ha subite e ancora oggi ne sta pagando le conseguenze: sono le cooperative sociali che svolgono attività di inserimento lavorativo protetto e che, soprattutto, assistono e supportano le persone non autosufficienti nei servizi domiciliari, residenziali e diurni. Imprese che lavorano con qualità e responsabilità e che da tanti anni garantiscono ai cittadini romagnoli, così come previsto dalla normativa, standard di servizi parificati a quelli del pubblico.
Il sistema, però, non è in grado di reggere a lungo alla carenza di personale.
La sanità territoriale torni al centro del dibattito
Non è finita. C’è un altro problema che va evidenziato, forse il più preoccupante, ovvero il timore reale che la maggior parte delle carenze economiche ed organizzative pubbliche siano concentrate sulle criticità dei servizi ospedalieri: e la sanità territoriale?
Appare sempre più evidente come l’emergenza pandemica abbia addormentato il confronto sulle politiche di welfare territoriale, ponendo al centro le tematiche ospedaliere, anche se in una logica emergenziale. Eppure, proprio la pandemia ha riacceso i riflettori sul nostro contesto demografico e sociale, che è quello di un paese che sta invecchiando, con un sistema sanitario universalistico tutt’altro che omogeneo fra le regioni e con bisogni che nel frattempo non solo sono aumentati, ma anche cambiati.
Cresce l’incidenza delle malattie croniche, ma anche la solitudine familiare, con tutto ciò che questo comporta dal punto di vista del fabbisogno di servizi domiciliari e territoriali, anche a bassa soglia.
Chiediamo con forza alle istituzioni locali e all’ASL della Romagna di tornare ad incontrarci per affrontare insieme i nodi più ostici del sistema.