Al viaggiatore la città si mostra come una successione di soglie che chiedono di essere varcate: dietro la sobrietà delle facciate – la falsa modestia del mattone – si annida la vertigine di cieli di mosaico, il germogliare di chiostri e giardini, una polifonia di storie.
Non sfigurerebbe l’anfibia, proteiforme Ravenna nel novero di città che Marco Polo descrive a Kublai Kan secondo l’immaginazione di Italo Calvino; dopo tutto, Le città invisibili (1972) sono città-chimera, impossibili e inesistenti eppure riflesso e combinazione di qualità riconoscibili in una o molte città della nostra epoca.
E se per Calvino Le città invisibili sono città di finzione che si presentano come esperienze, memorie e desideri piuttosto che luoghi, il centenario della nascita dello scrittore offre alla XXXIV edizione di Ravenna Festival un felice pretesto per riflettere sulla duplice natura dell’organismo “città”,altempo stesso emblema della comunità umana – crocevia di culture, spazio di scambio e confronto, snodo di infinite narrazioni e conversazioni – e immagine della crisi di quella stessa comunità dove l’individuo sbiadisce nella massa e il progresso raggiunge il suo parossismo consumistico e globalizzante.
Sempre in bilico fra distopia e utopia, la città è l’unità di misura della nostra civiltà; nel suo cuore si consuma il conflitto fra integrazione e disintegrazione, ibridazione e omologazione che definirà il prossimo futuro. Per un Festival che da sempre trova nella composita identità della città e del territorio il punto di partenza e la destinazione dei propri itinerari, la riflessione sulla dimensione invisibile della città – le relazioni, esperienze e comunità che sono più della somma dei suoi edifici e delle sue strade – è inevitabile.
Dopo la doppia inaugurazione del 7 e 8 giugno, che vede protagoniste rispettivamente una “narratrice di storie” come Laurie Anderson e una leggenda del pianoforte quale Martha Argerich, in conversazione con il violoncello di Mischa Maisky, il racconto del Festival si dipana fino al 23 luglio assecondando la propria natura pellegrina ed eclettica. Dal 15 al 20 dicembre, Riccardo Muti – già sul podio dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini per Le vie dell’Amicizia e un concerto con il primo violoncello dei Wiener Támas Varga – regala a Ravenna un trittico composto da un gala verdiano e due titoli d’opera del repertorio italiano.
Nella costellazione di solisti spiccano Anne-Sophie Mutter con i suoi Virtuosi, Leo ̄nidas Kavakos sia in solo che al fianco della Cherubini, Beatrice Rana per l’omaggio a Rachmaninov con stelle del balletto (il programma danza conta anche la prima italiana di WE, the EYES di Emio Greco e Pieter C. Scholten).
Ai titoli che esplorano il volto terribile della civiltà – da Doctor Atomic Symphony di John Adams e Trenodia per le vittime di Hiroshima di Penderecki alle distopie Gli angeli dello sterminio di Giovanni Testori e Metropolis di Fritz Lang – si contrappone la celebrazione del dialogo fra culture, generi e mondi sonori: dal pacifismo di Acarnesi di Aristofane, parte del prologo di quest’edizione e frutto del dialogo con il Parco Archeologico di Pompei, città a lungo “invisibile” restituita alla storia, a Yellow Shark di Frank Zappa e le Folk Songs di Berio.
La Basilica di S. Vitale accoglie anche quest’anno due nuove sacre rappresentazioni, mentre tra i cori ospiti ci sono tre delle più celebrate formazioni inglesi – i Tallis Scholars, il Tenebrae Choir e i King’s Singers.
E ancora: Stefano Bollani, Aurora, Sinfonia Varsovia, PMCE, Filarmonica Toscanini, Timothy Brock, Eleonora Abbagnato, Sergio Bernal, Julian Rachlin, Yefim Bronfman, Elicia Silverstein, Fatoumata Diawara, Orchestra Notturna Clandestina, Niccolò Fabi, Fast Animals and Slow Kids, Sergio Rubini, Moni Ovadia, Mike Stern, Roberto Mercadini, Federico Buffa, Sandro Lombardi…
Sulla mappa del Festival brillano anche cittadine custodi di cultura e tradizioni, quell’eredità “invisibile” tanto preziosa quanto il patrimonio materiale di architetture e paesaggi: Cervia-Milano Marittima, dove l’Arena dello Stadio dei Pini accoglie la quarta edizione della rassegna di parole e note Il Trebbo in musica, e le storiche ed eleganti cornici del Pavaglione di Lugo e di Palazzo S. Giacomo a Russi.
Le formazioni da camera dell’Orchestra Cherubini sono inoltre impegnate nella rassegna La musica senza barriere in RSA, ospedali, carceri e luoghi di volontariato, cultura e arte nel territorio di Ravenna e oltre.
Le città e gli scambi
A Eufemia, narra Marco Polo, convergono mercanti di sette nazioni per barattare storie e memorie. Si apre così la categoria Le città e gli scambi, uno degli undici sottoinsiemi in cui Calvino distribuisce le cinquantacinque città di sua invenzione. In fondo, causa e cornice dell’intera narrazione è uno scambio, quello fra mercante veneziano e sovrano orientale: a Kublai Kan, monarca di un impero la cui vastità sfida ogni tentativo di conoscenza, serve lo sguardo nuovo di un viaggiatore straniero.
E cos’è una città se non un incontro di strade, persone, prospettive?
Come tradizione, il programma di Ravenna Festival è intessuto di traiettorie, traboccante di storie. A partire da quelle che racconta Laurie Anderson con la raffinata e travolgente vena performativa che fa di lei la sola vera “artista multimediale” a tutto tondo, sempre alla ricerca di nuove forme espressive perché, come vuole una sua canzone, “il linguaggio è un virus proveniente dallo spazio profondo”. Animatrice della scena d’avanguardia newyorkese, pioniera della musica elettronica, inventrice di strumenti musicali, compositrice, poeta, ventriloqua, artista visiva e molto altro, Anderson ha scelto Ravenna per la sola data italiana della tournée Let X = X con la band di Steven Bernstein.
L’inaugurazione della XXXIV edizione si completa con un’altra artista dai natali d’oltreoceano: Martha Argerich, universalmente acclamata fra i più grandi pianisti di tutti i tempi, torna a Ravenna con il fuoriclasse del violoncello Mischa Maisky per sonate di Beethoven, Debussy e Chopin. Argerich e Maisky aprono la strada a molti straordinari solisti, spesso “in conversazione” con quella felice comunità che è l’orchestra (v. La città e il segno).
Seminale momento d’incontro fra canone occidentale e le “altre” musiche sono le Folk Songs di Luciano Berio affidate all’Icarus vs Muzak Ensemble diretto da Marco Angius nel ventennale della scomparsa del compositore. Il ciclo composto nel 1964 arrangiando canti popolari di diversi Paesi – Stati Uniti, Armenia, Italia, Francia, Azerbaijan – è il cuore di un programma che include un brano di Fabio Nieder e una nuova commissione a Ivan Fedele. A quarant’anni dalla prematura scomparsa di Cathy Berberian, esperta esecutrice della musica di Berio, è Ljuba Bergamelli la voce solista di questo doppio omaggio a compositore e cant’attrice.
Sono invece trascorsi trent’anni dalla morte di Zappa e dall’uscita del suo ultimo disco: altro capolavoro del secondo Novecento,lasuiteTheYellowSharkèpropostadalPMCE–ParcodellaMusicaContemporaryEnsemblediretto da Tonino Battista con David Moss solista. Lo “squalo giallo” è una creatura peculiare, concepita da un artista così fuori dagli schemi da conquistare la cittadinanza di due pianeti – il rock e la musica classica contemporanea.
Nel solco degli scambi fra scena indie rock e formazioni sinfoniche, arriva al Festival la band di culto Fast Animals and Slow Kids: le ballate di questi irruenti, elettrici e profondamente romantici artisti perugini sono proposte per la prima volta in veste orchestrale, grazie all’Orchestra La Corelli diretta per l’occasione da Carmelo Emanuele Patti che cura anche gli arrangiamenti. Il Pavaglione di Lugo ospita anche, per l’ultimo appuntamento del programma estivo, il chitarrista Mike Stern, che – forte dell’aver militato nei Blood, Sweat & Tears e aver lavorato con Billy Cobham e Miles Davis – sa spaziare dal jazz classico alla fusion.
Attinge da folk, elettronica, suggestioni orchestrali e, per l’ultimo album The Gods We Can Touch, anche dalla mitologia greca il pop sognante e raffinato di Aurora, cantautrice norvegese capace di flirtare con un successo planetario – anche sull’onda di social network come TikTok – senza perdere in eccentricità né rinunciare all’impegno per i diritti LGBTQ+ e la lotta al cambiamento climatico.
Dalle nevi della Scandinavia alle sabbie del Mali con Fatoumata Diawara, attrice e cantautrice che ha saputo sposare la tradizione dell’Africa occidentale – in particolare il canto wassoulou – a influenze blues e jazz, affrontando anche tematiche urgenti come l’emigrazione, il fondamentalismo religioso, l’infibulazione e la condizione femminile in Africa (a vent’anni l’artista ha lasciato il proprio Paese per sfuggire a un matrimonio combinato).
Quella con Fatoumata Diawara è la prima delle due serate a Palazzo S. Giacomo di Russi; la seconda è Un rave classico, una lunga notte con l’Orchestra Notturna Clandestina diretta da Enrico Melozzi come punto d’incontro fra strumenti classici come il violoncello di Giovanni Sollima, un cantautore del calibro (e della ricercatezza) di Niccolò Fabi e i giovani che risponderanno alla “chiamata” per salire sul palcoscenico.
La tradizione della canzone italiana è celebrata anche dal Trebbo in musica, che include il concerto di Nada e l’omaggio a Franco Califano con Claudia Gerini e il Solis String Quartet.
La vocazione letteraria e narrativa di Cervia-Milano Marittima si conferma invece con le letture di Sergio Rubini da Le città invisibili, accompagnate da Michele Fazio al pianoforte, l’omaggio a Grazia Deledda con la scrittrice Sandra Petrignani e l’attrice Francesca Gatta e La Milonga del futbol di Federico Buffa con il pianista Alessandro Nidi e la cantante Mascia Foschi.
Anche il cartellone sinfonico visita una città invisibile – quella di Kitež, la città sommersa delle leggende russe che ispirò Rimskij-Korsakov e il suo librettista Vladimir Bel’skij per un’opera dove le reminiscenze popolari incontrano modelli mussorgskiani ed echi wagneriani. Il Preludio da La leggenda dell’invisibile città di Kitež e della fanciulla Fevronija aprirà il concerto con l’Orchestra Cherubini diretta da Julian Rachlin (v. Le città e il segno).
Le città continue
Con l’età contemporanea trionfa la vita urbana: la città è progresso, successo, abbondanza e velocità. Ma questa creatura tentacolare in costante espansione – tanto da apparirci sempre più continua e pervasiva – è anche l’incubatrice di infezioni: disuguaglianza sociale, consumismo, massificazione, corruzione, inquinamento, congestione, speculazione, discriminazione, alienazione.
Il degrado della comunità è terreno fertile per totalitarismi e fanatismi e il progresso si manifesta come strumento di distruzione piuttosto che creazione. Per Kublai Kan, “è il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma”.
Dopo il 6 agosto 1945, l’immagine di Hiroshima non è più quella di una città ma del fungo atomico. Come per Auschwitz, l’associazione è indelebile e rappresenta uno spartiacque – c’è un “dopo” Hiroshima e Auschwitz che dovrebbe riassumersi nella parole “mai più”.
I due maggiori compositori polacchi del secondo Novecento – Krzysztof Penderecki e Henryk Górecki, entrambi nati nel 1933 – hanno dedicato a quegli orrori, rispettivamente, la Trenodia per le vittime di Hiroshima e la Sinfonia n. 3 op. 36 “dei canti dolorosi”, colonne portanti del programma che vede l’incontro tra la Sinfonia Varsovia e l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini dirette da Aleksandar Markovi ́c, a cui si unisce la soprano Iwona Sobotka. La serata si completa con il Concerto triplo di Beethoven, solisti Valentina Benfenati della Cherubini, Marcel Markowski della Varsovia e il vincitore del Premio Abbiati 2022 Filippo Gorini.
Il fisico Robert Oppenheimer, artefice del Manhattan Project, è il protagonista dell’opera Doctor Atomic, ambientata nei laboratori di Los Alamos; John Adams ne ha composto le musiche, riproposte in forma di compendio per la prima italiana della Doctor Atomic Symphony. In scena la Filarmonica Toscanini, diretta da Kristjan Järvi, e Stefano Bollani, solista per il proprio Concerto Azzurro. Nata nel 2017, la partitura di Bollani fonde linguaggi classici e jazz, scrittura e improvvisazione: il Concerto Azzurro si riscrive a ogni esecuzione grazie alla fantasia e alla complicità fra gli interpreti…e schiude uno spiraglio di speranza.
Il racconto nucleare continua con Little Boy, storia del “ragazzino” – nome in codice dell’ordigno che colpì Hiroshima – ad opera dell’affabulatore, autore e divulgatore Roberto Mercadini, accompagnato dalle musiche di Dario Giovannini. A futura memoria vede invece l’attrice Valentina Lodovini e il FontanaMix String Quartet impegnati in una dedica alla giornalista russa Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006, mentre con Donne guerriere Ginevra Di Marco e Gaia Nanni raccontano di chi si batte – con parole, canto e gesti esemplari – contro le violenze e le discriminazioni subite dalle donne.
Il desiderio di aprire gli occhi sulla nostra capacità di determinare la storia (e di garantire quel “mai più”) emerge anche in WE, the EYES, l’ultima creazione di Emio Greco e Pieter C. Scholten per la loro compagnia ICK Dans Amsterdam. In prima italiana, la coreografia è una micro-società di undici interpreti che – su musiche di Pink Floyd, Arvo Pärt, Beethoven, Xenakis – emergono come sopravvissuti da una pandemia alla ricerca di una vita migliore, per la quale è necessario imparare nuovamente a guardare il mondo.
Una visione distopica – l’Apocalisse a Milano, immagine anonima di ogni città maledetta – è il soggetto de Gli angeli dello sterminio di Giovanni Testori, breve romanzo che Sandro Lombardi legge in scena con la partecipazione di Francesca Ciocchetti; in omaggio all’intellettuale milanese, nato nel 1923 come Calvino, Lombardi si confronta anche con il monologo Mater Strangosciàs. La dedica a Testori si fa in tre con L’interrogatorio a Maria nella Basilica di S. Vitale e il riallestimento de I Promessi sposi alla prova, come sarà illustrato.
Madre cinematografica di tutte le distopie è invece la pellicola di Fritz Lang del 1927: capolavoro del cinema Espressionista, Metropolis ha non solo inventato la fantascienza per il grande schermo più di qualunque altro film, ma ha definito un immaginario culturale. Attingendo dallo Zeitgeist dell’Europa fra le due guerre, la cupa bellezza di Metropolis ritrae un 2026 in cui le profonde divisioni fra classi sociali sono tradotte nella coesistenza di emerso e sommerso, una città dei privilegi e una città dello sfruttamento, opposte eppure interdipendenti. La nuova produzione di Edison Studio riporta Metropolis sullo schermo con musiche originali eseguite dal vivo.
A proposito di connubio fra musica e cinema, da molti anni caro al Festival, è in programma anche la proiezione de Il grande dittatore (1940), dissacrante parodia del nazismo e primo film di Charlie Chaplin con dialoghi parlati. Composta anche di brani di Brahms e Wagner, la colonna sonora è stata scrupolosamente restaurata dallo specialista TimothyBrock,chetornaaRavennaperdirigerladalvivo–inprimaassoluta–sulpodiodellaFilarmonicaToscanini. Il fil rouge delle pretese impossibili del totalitarismo continua con la prima del monologo a firma di Valerio Cappelli: Gli occhiali di Sˇostakovicˇ ritrae il compositore russo in conflitto con le esigenze della coscienza e dell’arte e le pressioni del regime; in scena Moni Ovadia, mentre gli interventi musicali del pianista Matteo Ramon Arevalos attingono ai Preludi e fughe op. 87.
Il teatro si concentra anche su altri due momenti storici di “rottura”. La crisi dell’Ancien Régime e il suo disfarsi nella Rivoluzione Francese sono cristallizzati nel confronto fra la dissacrante anarchia del Marchese de Sade e l’ideale utopico dell’intellettuale rivoluzionario Jean-Paul Marat in Marat/Sade di Nerval Teatro, regia di Maurizio Lupinelli e adattamento teatrale di Eugenio Sideri dal testo di Peter Weiss, nell’ambito del Laboratorio Permanente “Il teatro è differenza”. La dialettica a due poli caratterizza anche Due Regine, in cui le attrici e registe Elena Bucci
e Chiara Muti sono Mary Stuart ed Elizabeth Tudor, incatenate in un eterno duello dove la vita dell’una significa la morte dell’altra.
La protagonista di Odradek della compagnia Menoventi è invece un’eremita di massa come tanti: ogni suo desiderio è previsto ed esaudito per tramite del corriere espresso. Fiaba contemporanea dall’ironia kafkiana, Odradek è diretta da Gianni Farina, protagonisti Consuelo Battiston e Francesco Pennacchia, progetto sonoro di Mondo Riviera.
Per il progetto Circles, la Classica Orchestra Afrobeat si circonda delle sculture “di riciclo” della Mutoid Waste Company, gruppo di artisti che, dopo gli esordi londinesi negli anni Ottanta, ha trovato casa nella città-comunità di Mutonia, nei pressi di Santarcangelo di Romagna; un concerto all’insegna dell’economia circolare e dell’upcycling. La riduzione dell’impatto ambientale di una produzione è centrale in Gaia di ErosAntEros, nuovo capitolo del teatro estetico-politico di Davide Sacco e Agata Tomšicˇ. Concentrato sulla catastrofe ambientale, Gaia è uno spettacolo multimediale in evoluzione, partecipativo e site-specific.
La conciliazione fra spettacolo, natura e sostenibilità è nel DNA del Festival anche grazie alla tradizione del Concerto trekking, quest’anno a Riolo Terme – in occasione della candidatura del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola a Patrimonio Unesco – con una sfida fra country music e folk romagnolo, rappresentati rispettivamente dai Crazy Bulls String e dal Gruppo Folkloristico alla Casadei Bruno Malpassi.
Le città e il segno (musicale)
Prima visione utopica di una città invisibile che la storia ci ha consegnato, La Repubblica di Platone pone nell’educazione musicale il fondamento della formazione dei cittadini, perché la musica educa l’animo con la bellezza.
Se Martha Argerich apre la programmazione “classica” di questa XXXIV edizione, la grande tradizione concertistica conta un’altra indiscussa regina: Anne-Sophie Mutter ha scelto Ravenna come prima delle sole due tappe italiane del suo tour alla guida dei Mutter’s Virtuosi, giovani studenti ed ex-studenti formatisi all’interno della Fondazione da lei creata.
Accanto a pagine di Bach – il Concerto BWV 1041 e il Brandeburghese n. 3 – la serata include la prima italiana di Nonet di André Previn, le cui colonne sonore per il cinema hanno conquistato quattro Oscar, ma anche un Concerto di Francesco Maria Veracini, il più grande violinista italiano alla morte di Corelli, e il Concerto n. 2 op. 5 di Joseph Bologne Chevalier de Saint-Georges, il “Mozart nero”, come fu soprannominato, fra i primi compositori di origini africane attivi nella musica classica europea.
La linea dell’archetto è impreziosita da Leo ̄nidas Kavakos, che propone le Sonate e Partite di Bach nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe in due serate, ma si affianca anche all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini per un concerto sinfonico diretto da Hossein Pishkar, giovane direttore iraniano che è stato allievo dell’Italian Opera Academy di Riccardo Muti.
Elicia Silverstein, vincitrice del Best Newcomer Award del BBC Music Magazine nel 2020 e oggi fra i più acclamati violinisti della sua generazione, si esibisce invece a Sant’Agata con Marco Serino e Francesco Cera per Harmonia Artificiosa, un percorso dal compositore barocco Heinrich Ignaz Franz Biber a Marcello Panni (del quale è proposto un brano in prima esecuzione) e Luciano Berio.
È invece il primo violoncello dei Wiener Philharmoniker Támas Varga ad accompagnare Riccardo Muti e la sua Cherubini nel programma composto dal Concerto per violoncello n. 2 di Nino Rota e dalla sua suite da Il padrino, dalla Suite n. 2 da Il cappello a tre punte di Manuel De Falla e dal Boléro di Ravel. Per Le vie dell’Amicizia, che dal 1997 vede Muti dirigere in città simbolo della storia antica e contemporanea, il programma include il II atto da Orfeo e Euridice di Gluck con il controtenore Filippo Mineccia, “Patria oppressa!” dal Macbeth di Verdi e Das Schicksalslied (Canto del destino) di Brahms (l’itinerario del viaggio sarà svelato prossimamente).
Sul podio della Cherubini salgono anche, come citato, Aleksandar Markovi ́c per l’incontro con la Sinfonia Varsovia e Julian Rachlin nel concerto che, accanto al Preludio da La leggenda dell’invisibile città di Kitež e della fanciulla Fevronija di Rimskij-Korsakov, include la Sinfonia n. 4 op. 36 di Cˇajkovskij e il Concerto n. 4 op. 58 di Beethoven per il quale è al pianoforte Yefim Bronfman.
Donato Renzetti dirige invece l’Orchestra e i solisti dell’Accademia del Teatro alla Scala nel concerto dedicato ai 150 anni dalla morte del direttore d’orchestra Angelo Mariani, a cui Ravenna diede i natali, in collaborazione con la locale Associazione Musicale che ne porta il nome.
150 anni sono trascorsi anche dalla nascita di Sergej Rachmaninov, celebrato tanto dalla Soirée con Beatrice Rana (v. Le città, gli occhi e il corpo) quanto dal Trio Contro-Do con il Trio élégiaque n. 1 e n. 2. I programmi cameristici includono anche il Signum Saxophone Quartet, che viaggia da Bach e Albinoni a Philip Glass e Chick Corea.
Le città e la memoria
È indubbio che nella composita memoria storica, artistica e spirituale di Ravenna, le basiliche parte del sito Unesco siano meritatamente protagoniste…e la programmazione di eventi al cospetto dei mosaici è da sempre fra le più caratterizzanti del Festival.
La celebrazione di quel patrimonio passa anche attraverso le commissioni a compositori contemporanei, in un percorso cominciato da qualche anno per sacre rappresentazioni in serrato dialogo con l’architettura della Basilica di San Vitale. Interrogatorio a Maria di Giovanni Testori riceve per la prima volta veste musicale nella scrittura di Roberto Solci, con il mezzosoprano Daniela Pini, il Coro Ecce Novum guidato da Silvia Biasini e l’Ensemble Tempo Primo. Il Coro e l’Ensemble sono coinvolti anche nel secondo titolo che debutta a San Vitale, Stabant Matres di Paolo Marzocchi. In questo caso il libretto di Guido Barbieri immagina che a Betlemme convengano quattro donne accanto a Maria, quelle che il Vangelo di Matteo indica nella genealogia di Gesù; donne che con Maria non condividono né tempo né spazio né l’appartenenza alla stirpe ebraica, ma come lei “madri” e segno di un’universale promessa d’amore per tutti i popoli.
Oltre ai già citati concerti con Kavakos e Silverstein, le basiliche accolgono alcune delle più celebrate formazioni corali al mondo. Tornano a Ravenna i Tallis Scholars: per festeggiare 50 anni dalla loro fondazione, Peter Phillips li guida a Sant’Apollinare in Classe per brani di Palestrina, Desprez e Byrd.
Prima volta al Festival per il Tenebrae Choir che, forte del motto “passione e precisione”, accosta Bach al compositore contemporaneo James MacMillan per il concerto a San Giovanni Evangelista. Il loro direttore, Nigel Short, è stato anche membro dei King’s Singers, che al Teatro Alighieri coronano il trittico della grande coralità inglese con il concerto Songbirds, da Schubert ai Beatles.
Espressione delle energie del territorio, il Coro e l’Ensemble 1685 celebrano il passaggio dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “G. Verdi” di Ravenna, all’interno del quale si sono costituiti, a Conservatorio; Antonio Greco dirige lo Stabat Mater di Caldara e la Messa in sol minore BWV 235 di Bach. È invece ai 400 anni trascorsi dall’edizione dei Canti di Salomone di Salomone Rossi, compositore ebreo alla corte dei Gonzaga, che l’Ensemble Salomone Rossi guidato da Lydia Cevidalli dedica la loro prima esecuzione in Italia. Le pagine di Rossi disegnano il profilo di un’invisibile “città del dialogo” fra cultura ebraica e cristiana che trovò spazio a Mantova ma anche Venezia, dove Benedetto Marcello utilizzò melodie “rapite” alle sinagoghe per musicare i salmi del suo Estro poetico-armonico. L’Ensemble, così come i King’s Singers, è coinvolto anche nella tradizionale rassegna In templo Domini; il ciclo di liturgie nelle chiese della città si completa con la Cappella Musicale della Basilica di S. Francesco diretta da Giuliano Amadei e i Ludus Vocalis guidati da Stefano Sintoni.
Tra giugno e luglio Classis, il museo che racconta la storia della città e del territorio nello straordinario spazio dell’ex zuccherificio di Classe – area che è testimonianza del passato romano e dell’identità marittima di Ravenna – accoglie Qualunque melodia più dolce suona con le formazioni cameristiche dell’Orchestra Cherubini e dell’Orchestra La Corelli; un’esperienza multisensoriale che unisce musica, reperti archeologici, riflessioni sull’antichità.
Le città, gli occhi e il corpo: la danza
Non manca la danza all’appello della XXXIV edizione, con appuntamenti che ci raccontano il corpo in movimento secondo traiettorie diversissime eppure complementari.
Con la già menzionata prima di WE, the EYES si torna ad ammirare uno dei più felici sodalizi del nostro tempo: la collaborazione fra il ballerino e coreografo pugliese Emio Greco e il regista olandese Pieter C. Scholten ci ha regalato, oltre a una strepitosa compagnia di danza, un universo di movimenti che attinge dal vocabolario classico quanto dalla lezione post-moderna. E in questo caso presenta un lavoro che, mentre quasi richiama una distopia alla Saramago nell’idea della cecità, è ben radicato nella comune esperienza della pandemia.
Chi ama le pointes sarà abbagliato dalla pioggia di stelle del gala Les étoiles: interpreti provenienti da teatri di tutto il mondo – fra cui Eleonora Abbagnato, alla sua prima visita al Festival, e Sergio Bernal – si misurano con estratti del repertorio classico e contemporaneo e nuove creazioni. Sempre a cura di Daniele Cipriani la Soirée Rachmaninov: la maestria di solista di Beatrice Rana, che si alterna al pianoforte con Massimo Spada, ci guida fra pagine del compositore russo con la luminosa complicità di uno sciame di étoiles; accanto alle coreografie di Uwe Scholz, la prima assoluta della creazione di Simone Repele e Sasha Riva sulle Danze sinfoniche, op. 45.
A San Vitale, la danza incontra la dimensione corale e religiosa con La nuova Abitudine proposta da Societas – Claudia Castellucci. La coreografia affidata alla compagnia Mòra è stata infatti creata su canti Znamenny della Chiesa Ortodossa russa, eseguiti dal coro bulgaro maschile In Sacris di Sofia: sotto gli archi della basilica bizantina l’antica tradizione vocale appartenente a Bulgaria, Ucraina, Russia si intreccia all’attualità della danza, che ci riporta anche, inevitabilmente, al drammatico presente di quelle terre dove intere comunità e città rischiano di essere cancellate dalla storia.
Le città e il desiderio: il teatro
È a “città felici che continuamente prendono forma”, per dirla alla Calvino, che il fertile terreno teatrale della Romagna fa pensare; spazi in cui esperienza significa partecipazione e comunità, anche – e soprattutto – quando il teatro si fa strumento d’indagine delle fratture della nostra società.
Fra queste città felici c’è il Grande Teatro di Lido Adriano (GTLA), nato dal dialogo fra artisti e operatori di Ravenna legati alla cosmopolita località della riviera e attorno all’attività del CISIM, centro culturale e molto altro. Il progetto si inaugura con la prima di Mantiq At-Tayr (Il verbo degli uccelli), rilettura del poema sapienziale sufi di Farid Ad Din Attar con la regia di Luigi Dadina, la drammaturgia di Tahar Lamri e il coinvolgimento di un centinaio di giovani e adulti.
Se nell’opera del poeta persiano gli uccelli sono alla ricerca del mitico Simurgh (allegoria della ricerca di se stessi), in Acarnesi Stop the War! l’oggetto del desiderio è la pace. La più antica delle undici commedie superstiti di Aristofane è la seconda tappa, dopo Uccelli nel 2022, del progetto quadriennale con cui Marco Martinelli “rimette in vita” i capolavori del commediografo greco nell’ambito del dialogo di Ravenna Festival con Pompei. Dopo il debutto al Parco Archeologico, la produzione – forte della vis comica degli adolescenti di Pompei e Torre del Greco e della cura musicale di Ambrogio Sparagna – arriva a Ravenna come parte, accanto a Mantiq At-Tayr, del vivace prologo della XXXIV edizione del Festival.
Quest’anno Marco Martinelli ed Ermanna Montanari di Ravenna Teatro/Teatro delle Albe applicano la formula che ha già caratterizzato l’acclamato trittico del Cantiere Dante, a un altro capolavoro del canone letterario occidentale. Il viaggio nel Don Chisciotte di Cervantes ha per sede Palazzo Malagola, il nuovo centro di ricerca e sperimentazione vocale e sonora, con le musiche dal vivo di Fabio Mina e Daniele Roccato.
A proposito dell’illustre storia del romanzo, il 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni è l’occasione per ospitare il riallestimento de I Promessi sposi alla prova, storico spettacolo del Teatro Franco Parenti di Milano, con la regia di Andrée Ruth Shammah, sul testo con cui Testori ha “accolto, tradito o tradotto” le parole di Manzoni per il lettore contemporaneo.
Il fil rouge letterario continua con Se resistere dipende dal cuore di Elena Bucci (Le belle bandiere) e Luigi Ceccarelli al live electronics; un lavoro di teatro musicale “minimo” che parte dai versi e dalla voce registrata di Amelia Rosselli, in sintonia all’idea di poesia musicale della poetessa ed etnomusicologa italiana.
L’orizzonte teatrale si completa con le già citate produzioni di Odradek di Menoventi, Marat/Sade di Nerval Teatro, Due Regine di Elena Bucci e Chiara Muti…e le prime assolute di Gli occhiali di Šostakovicˇ di Valerio Cappelli e Gaia di ErosAntEros.