Nessuna manipolazione dei reperti da parte dell’imputata, mancanza di un movente plausibile, indici statistici sulla mortalità in corsia non riconducibili a specifiche condotte, ma soprattutto il metodo con cui era stata attribuita l’iniezione letale di potassio, non è accettato in maniera unanime dalla comunità scientifica.
In sintesi sono queste le motivazioni con le quali la Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha spiegato l’assoluzione pronunciata il 25 ottobre scorso nei confronti di Daniela Poggiali, la 49enne ex infermiera accusata di avere ucciso l’8 aprile del 2014 all’ospedale ‘Umberto I’ di Lugo la paziente 78enne Rosa Calderoni a poche ore dal ricovero.
“Ora, dopo sette anni, si può dire con assoluta certezza che non esistono uccisioni avvenute in passato o morti causate dalla Poggiali”, scrive la Corte in un passaggio delle 253 pagine di sentenza. “Una vicenda processuale molto complessa – ha chiarito il presidente della Corte nonché estensore della motivazioni Stefano Valenti, in pensione da fine 2021 – che come tale “espone a un serio rischio di disorientamento”.
Del resto si trattava del sesto grado di giudizio, un appello-ter insomma: in primo grado la Corte d’Assise di Ravenna aveva condannato all’ergastolo l’imputata poi assolta in altrettanti appelli a Bologna sconfessati da altrettante Cassazioni a Roma.
“Se nel testo della relazione” il consulente tecnico della Procura – si legge nelle motivazioni – “avesse avuto cura di chiarire meglio i confini, invero minimali, del consenso del suo metodo, si sarebbero probabilmente evitati i cinque gradi di giudizio e forse anche lo stesso rinvio a giudizio”. Inoltre “gli stessi autori dello studio “hanno fatto ricognizione dei loro errori ammettendoli ed emendandoli con uno studio del 2020”.
Tanto che se la consulenza fosse stata affidata ai medesimi esperti nel 2021, “il risultato sarebbe stato neutro”.
(fonte ANSA)