Il presidente della Provincia di Ravenna, Michele De Pascale, si accinge alla scadenza naturale del suo mandato per subentrare a sé stesso. Sarà confermato a breve e dalle sue parole emerse in un recente comunicato, c’è tutta la volontà di riempire di contenuti un contenitore che già il suo ex segretario di partito Matteo Renzi, aveva provveduto a svuotare completamente. Confidiamo, dunque sul ruolo di De Pascale quale presidente dell’Unione delle province italiane, Upi, per assistere a qualche risultato tangibile, potendo fare riferimento a deleghe di funzioni certe e conseguenti risorse adeguate. Sino ad ora per qualsiasi cittadino non è stato difficile costatare l’afonia di questo ente che a ragione è stato classificato come un ente di secondo livello o grado. Ma ciò premesso, non si legge da nessuna parte la volontà politica di un raccordo organico con le altre province romagnole, con obiettivi di integrazione e di razionalizzazione delle spese in un quadro di reale sinergia. S’intuisce, infatti, la volontà di lasciare tanti campanili, quasi dimenticando, ad esempio, le competenze delle province in materia di sanità in un quadro di area vasta romagnola. Si perderanno altri due anni con il risultato di lasciare invariata la situazione attuale, che a mio parere contravviene allo spirito del legislatore orientato, piuttosto, alle collaborazioni interistituzionali e ad una progettualità di rete operativa e funzionale fra enti. Concetto ben presente a tante associazioni di categoria che hanno fatto da apripista in una reale logica di massimizzare l’efficienza e la performance complessiva senza trascurare l’economicità e i costi.
Sull’argomento, poi, occorre citare ancora una volta la Camera di commercio di Ravenna: insomma se Atene piange, Sparta non ride. L’infelice ed assurda decisione di fare sistema con Ferrara, idea balorda e fallimentare come del resto si è rivelata, ha di fatto messo completamente in un angolo l’ente di Ravenna, mentre le realtà di Rimini e di Cesena-Forlì sono schierate e integrate organicamente. A nulla sono valsi i tentativi degli amministratori di queste tre città di coinvolgere Ravenna con l’obiettivo di dare corpo ad un ente di respiro romagnolo, solido e coerente con le politiche ormai avviate in questa direzione dalla stessa Unità sanitaria della Romagna. Facciamo affidamento, dunque, sull’autonomia delle Camere di commercio, e non sull’isolamento come nel caso di Ravenna; l’autonomia resta un obiettivo sicuramente fondamentale, ma allo stesso modo confidiamo sulla saggezza e soprattutto sulla lungimiranza degli amministratori di questi enti camerali.