“Con grande sconcerto si assiste in questi giorni ai tentativi falliti per la rimozione di ciò che resta del relitto della Berkan B, a quasi quattro anni dal collasso e due e mezzo dall’affondamento” affermano il Collettivo Autonomo Ravennate, il Gruppo d’Intervento Giuridico delegazione di Ravenna e Italia Nostra sezione di Ravenna.
“Senza tema di vergogna si apprende che i progetti, specie quelli di questa importanza e con costi ad oggi stimati di 9 milioni di euro di denari pubblici, si mandano avanti a furia di “test”. Ben tre, le serie di test finora senza esito: il 31 agosto, il 7 settembre e l’8. Ricordiamo ai progettisti ed ai committenti dei test che l’ambiente e la salute umana non sono terreno per esperimenti, fino a prova contraria” proseguono le associazioni firmatarie.
“Non osiamo infatti immaginare cosa sia andato disperso durante i “test” dalle lamiere incrostate di uno spesso strato di morchia proveniente da oltre due anni e mezzo di sversamenti di idrocarburi dalle casse ancora piene della nave non bonificata lasciata lentamente affondare per oltre un anno senza muovere un dito. Immagini inequivocabili testimoniano lo stato del rottame. Enormi masse d’acqua spostate durante l’emersione – e poi affondamento dei tronconi – e fondali smossi: lavati per bene i pezzi, quanti inquinanti sono stati ancora rimessi in circolo nelle acque della Pialassa e di tutti i corpi idrici ad essa collegati? Le panne garantiscono la tenuta? Da alcune riprese si vede chiaramente che il punto di legatura alla banchina della fila più esterna è tutt’altro che a tenuta. Ci chiediamo inoltre: anche se fossero in perfetta efficienza, tali presidi possono da soli contenere spostamenti d’acqua come quelli generati dai tronconi provenienti da una nave di 108 metri di lunghezza e oltre 6464 tonnellate di stazza? Inoltre, almeno da domenica 5 settembre una fila di barriere oleoassorbenti messe a protezione della parte nord Pialassa è stata manomessa per un tratto di circa 70 metri, e nonostante le PEC inviate alla Capitaneria di Porto, fino a mercoledì sera nessuno le aveva ripristinate. Giusto in tempo per accogliere le acque provenienti dai “test” dei tentativi falliti. Eppure, domenica sera, numerosi erano i capanni sulle rive dei Piomboni dove tranquillamente si pescava e si cenava. In tutto questo, il sindaco responsabile della salute pubblica, muto” continuano le associazioni.
“Si legge che le gru non avrebbero la portata adatta per il peso dei tronconi: ed in effetti, rispetto a certe eccellenze che pure hanno solcato le acque del nostro porto, le chiatte (una di 25 e una di 45 anni) sui cui sono caricate le gru non sembrano proprio il meglio che il mercato potesse offrire, per usare un eufemismo. Ma il test prosegue, ed anziché provvedere con mezzi adeguati (ma evidentemente non convenienti economicamente), si procede continuando a rimestare nei fondali con i sommozzatori” dichiarano le associazioni firmatarie.
“Insomma, mentre domandiamo nuovamente al Ministero della Transizione Ecologica l’invio di un organo competente esuper partes che possa monitorare le operazioni nel pieno rispetto della sicurezza e della tutela ambientale, quella che è ormai diventata una delle “favole” della portualità italiana prosegue, ed arriva a rasentare il ridicolo. Naturalmente, non immaginiamo che le operazioni verranno accelerate, con tutti i rischi aggiuntivi per la sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente che questo può comportare, in vista della terza udienza preliminare del procedimento che vede coinvolti i vertici dell’Autorità Portuale di Ravenna e che si terrà in ottobre. A questo punto non resta che chiedere dimissioni subito per chi ha permesso ed autorizzato questa vergogna, dimissioni per coloro a cui affideremo piogge di centinaia di milioni di euro per l’escavo del Candiano… si tratterà di un altro test?” concludono il Collettivo Autonomo Ravennate, il Gruppo d’Intervento Giuridico delegazione di Ravenna e Italia Nostra sezione di Ravenna.