“Fin dalla nascita del Programma Erasmus, vale a dire opportunità di studio all’estero per gli studenti sostenuti da fondi europei, Ravenna fu tra le città che più credette alla promozione nelle scuole superiori e nelle sedi universitarie cittadine di una opportunità formativa straordinaria per i giovani europei”. Lo sottolinea Giannantonio Mingozzi, relatore a suo tempo sul tema “Ravenna e l’Erasmus” nell’ambito delle Celebrazioni del IX Centenario dell’Alma Mater dedicato proprio alle relazioni internazionali e alla firma della Magna Charta di tutti gli Atenei.
“Per più di trent’anni, continua Mingozzi, abbiamo promosso negli istituti ravennati dal Liceo Artistico al Classico ed allo Scientifico, dall’Itis Baldini al Ginanni, ed in tutti i corsi di laurea e dipartimenti cittadini il valore dell’etica comunitaria e della formazione vissuta nei principali Paesi d’Europa, Inghilterra compresa E Ravenna ha risposto, in particolare nell’ultimo decennio, con gli studenti che hanno scelto, come in tutta Italia, le destinazioni nell’ordine di Spagna, Francia, Germania e Regno Unito; a sua volta gli studenti inglesi che hanno scelto l’Italia sono stati anno scorso circa 1500, contro i 3500 e più italiani in Inghilterra”.
“Si dirà, continua Mingozzi, cosa c’entra Ravenna in queste statistiche: c’entra perchè non solo spagnoli o tedeschi hanno chiesto l’Erasmus ravennate o faentino, ma anche inglesi in particolare in Scienze Ambientali o Beni Culturali, nello studio del mosaico o nei corsi di legge. Senza contare tutti i giovani ravennati che hanno scelto il Regno Unito (ma anche Irlanda o Scozia) nei settori della finanza, assicurativo, del trading e manageriale linguistico e commerciale. Insomma, conclude Mingozzi, che il Regno Unito intenda uscire a fine 2020 dal Programma Erasmus costituisce un danno per quei giovani che vogliono difendere almeno la formazione in un contesto europeo unito; e Ravenna, celebrando il Sommo Poeta universalmente riconosciuto potrebbe chiedere all’UE di salvare almeno l’Erasmus europeo, senza quel vulnus britannico inconcepibile per le nuove generazioni”.