La crisi istituzionale della Camera di Commercio è una vergogna della nostra città imputabile interamente ad partito che da mezzo secolo ne fa il bello e brutto tempo e che adesso se ne lagna.
Il commissariamento dell’ente, disposto dal decreto Agosto per domani, ne rappresenta la più tragica conseguenza. Ma non è vero, com’è stato raccontato ai giornali, che la Camera di Commercio sia “in paralisi” trovandosi “per un numero di giorni oggi non quantificabili, sprovvisto dell’organo investito della rappresentanza legale dell’ente stesso”. In base al principio generale della continuità della pubblica amministrazione, gli articoli 2 e 3 della legge n. 444 del 1994 dispongono infatti che gli organi amministrativi decaduti sono prorogati per non più di quarantacinque giorni, potendo adottare gli atti di ordinaria amministrazione e quelli urgenti e indifferibili. Consiglio camerale, Giunta camerale, Presidente e Collegio dei revisori dei conti possono dunque continuare ad operare fino a che PD e Cinque Stelle non si siano messi d’accordo col ministro Patuanelli su come spartirsi clientelarmente le varie Camere di commercio commissariate. Si accettano scommesse che quella di Ravenna toccherà al PD.
MATRIMONIO SCELLERATO CON FERRARA
Ora il PD si scaglia contro la legge di riforma delle Camere di Commercio che nel 2017 dispose di accorparle in maniera organica affinché raggiungessero, sul proprio territorio, la rappresentanza minima di 75 mila imprese. Riforma sacrosanta, perché i confini geografici delle province italiane, specialmente di quelle più piccole come la nostra, che ne ha appena 38.267, non rappresentano la consistenza minima delle economie territoriali di base. Ma l’ha fatta un governo capeggiato dal PD. E perché non sono bastati tre anni affinché Ravenna si adeguasse alla legge, com’è dovere civico di tutti? Perché il sindaco PD di Ravenna, anche presidente della Provincia, ignorando che Ravenna è parte organica del sistema Romagna, ha voluto sciaguratamente accoppiare la nostra Camera di Commercio, sempre per spartizione di poltrone, con Ferrara, rifiutando la disponibilità offerta con convinzione da Forlì-Cesena.
Lista per Ravenna può gridare a gran voce di essere stata l’unica forza politica di questa città a combattere questa scelta dal primo giorno e fino a che, nel giugno di quest’anno, passato alla Lega il sindaco di Ferrara, quello di Ravenna, sempre lo stesso, ha convenuto con lui di sciogliere il matrimonio prima che si consumasse.
L’ECONOMIA DI RAVENNA TORNI IN ROMAGNA
Se ora la Camera di Commercio di Ravenna è in braghe di tela, né con Ferrara, né con Forlì-Cesena, non ha senso alcuno, come fa il PD, gridare al lupo, che poi è il suo stesso governo nazionale, perché non fa una “riforma” ad hoc per la Cameruccia di Ravenna così da non dividerne con nessuno le 31 poltrone politiche.
Intanto continua però la discesa rovinosa di questa agli inferi. Gli ultimi dati del primo trimestre 2020 dimostrano che, rispetto allo stesso periodo del 2019, ha perduto 413 imprese. Il PD pensi piuttosto a riportarla nella giusta carreggiata dell’economia e del lavoro, che non percorre le pur splendide Valli di Comacchio, ma l’Area Vasta della Romagna.