Pochi giorni fa nell’Azienda Agricola Mordini di Riolo Terme, il cane da guardia è stato sgozzato nel cortile. L’Azienda da qualche anno non ha più capi d’allevamento: ha subìto diversi attacchi da lupi e non ha più ricostituito il patrimonio zootecnico. Marco Bandini, di Castel Bolognese, sempre pochi giorni fa, ha visto un lupo aggirarsi nel suo vigneto: “Sono a quattro chilometri dalla via Emilia, non in montagna. Questo fatto non mi ha lasciato tranquillo. Non sono sceso dal trattore. Andiamo anche di notte nei campi e quanto sta accadendo è un deterrente”. Stefania Malavolti, di Casola Valsenio, con un gregge di 120 capi fra pecore e capre e otto ettari di superfice dedicata a pascolo, ne ha visti diversi di lupi e anche aggirarsi intorno a casa.
In più occasioni in merito alla fauna selvatica e al rapporto uomo e agricoltura Cia-Agricoltori Italiani Romagna ha espresso la necessità di un dialogo, fra tutte le parti, libero da pregiudizi e strumentalizzazioni per la ricerca, seppur complicata, di un equilibrio difficile, ma necessario.
Necessità che sembra imporsi con sempre maggior urgenza. Si torna, infatti, a parlare di lupi e lupi ibridi (o cani ibridi) a ridosso di strade e case, oltre che di allevamenti. Gli agricoltori non vogliono stragi, ma equilibrio fra le parti: i lupi sono una specie protetta, non è possibile attivare misure di contenimento, pur senza comprometterne lo stato di conservazione della specie, nemmeno nel caso di conclamati rischi per la salute pubblica o per prevenire seri danni alle attività agricole e zootecniche. “Il problema però c’è – ribadisce Danilo Misirocchi, presidente di Cia Romagna – e sembra sempre maggiore. Gli agricoltori chiedono allora di trovare altre soluzioni per il controllo della popolazione”.
Gli agricoltori segnalano una sempre più frequente presenza di lupi a ridosso delle abitazioni e delle strade, a livelli sempre più bassi, fino a valle. Probabilmente oggi per i lupi è più semplice dirigersi verso un gregge in un recinto, che rincorrere caprioli o cinghiali nel bosco. La grande preoccupazione degli agricoltori per gli animali degli allevamenti (pecore, capre, anatre, germani, per fare solo alcuni esempi) sta iniziando ad affiancarsi a quella per la sicurezza delle persone, anche se il lupo, di norma, non dovrebbe attaccare l’uomo.
Nelle Alpi la presenza del lupo dal 2015 al 2018 è quasi triplicata. Per la popolazione appenninica manca una stima formale basata su un programma nazionale di censimento del lupo e, stimata attraverso un metodo deduttivo, sembra sia la stessa del 2015 cioè 1.580 esemplari.
Resta il fatto che gli agricoltori fra cani da guardia e reti elettriche comunque non riescono a difendere i propri animali. L’economia agricola delle zone collinari e montane è fortemente caratterizzata dall’attività zootecnica, senza la quale questi territori rischiano seriamente di essere nel tempo inesorabilmente abbandonati, con tutte le conseguenze negative ambientali, economiche (turismo compreso) e sociali che ne deriverebbero.
Secondo Cia Romagna va prevista, come contenuto nella Direttiva Habitat e come riconosciuto in tutti i paesi europei, la possibilità di poter attivare misure di controllo della popolazione dei lupi nel caso di rischi per la salute pubblica e per prevenire i seri danni alle attività agricole e zootecniche.
Gli allevatori devono applicare un regolamento relativo al rispetto del benessere animale che indica, fra le altre cose, che gli animali dovrebbero pascolare fuori dai recinti per sei mesi all’anno. “È giusto – sostiene la Malavolti – Ora qui non è più possibile. Noi non lavoriamo per ottenere il rimborso per danni da lupi. Reti elettriche, cani da guardia, non riescono a proteggere gli allevamenti. I miei otto ettari di pascolo, ultimamente, non li utilizzo più tutti e sempre. Le greggi pascolano in una parte, in quella che possiamo controllare mentre ci dedichiamo anche alle altre attività dell’azienda”.
La minaccia non è solo per gli allevamenti più consistenti, ma anche per quegli agricoltori ormai in pensione che tengono quattro o cinque pecore o capre, non per il reddito che ne deriva, ma perché in tal modo, pascolando, gli animali tengono puliti terreni che diversamente rimarrebbero incolti. Con rovi e sterpi sarebbe difficile passeggiare nel bosco.