“Sana, green ed eticamente sostenibile. Tre buoni motivi per portare in tavola la carne romagnola e ravennate opponendosi, con scelte di acquisto consapevoli, alle intese commerciali con le quali l’Unione Europea favorisce l’importazione agevolata di prodotti agroalimentari ottenuti dallo sfruttamento del lavoro, anche minorile, o mediante l’utilizzo di sostanze da tempo vietate in Italia e nella stessa Europa” così commenta Coldiretti Ravenna.
“Tra i trattati di libero scambio approvati dall’UE, preoccupa e non poco quello siglato con i Paesi del mercato comune dell’America meridionale di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay (Mercosur). Proprio il Brasile, infatti, è reduce dal più grande scandalo mondiale sulla carne avariata e non a caso il manzo refrigerato e il pollame giunti dalla nazione verdeoro si sono classificati, per i casi di Escherichia Coli-Shigatoxin, nella top ten dei cibi più pericolosi per numero di allarmi alimentari che hanno fatto scattare in Italia in tutto il 2018 e, ancora, nel paese sudamericano, dall’inizio dell’anno sono stati approvati ulteriori 211 pesticidi, molti dei quali vietati in Europa” continua Coldiretti.
“Dato che 1 prodotto alimentare su 5 importato che arriva in Italia dall’estero non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese – a partire da quella sul caporalato” – dati sottolineati da Coldiretti in occasione del vertice interministeriale sul caporalato con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia Catalfo, e del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Teresa Bellanova – “è necessario fare fronte comune per evitare importazioni che aggirando le norme previste in Italia non solo creano concorrenza sleale, penalizzando le nostre produzioni, ma pongono in pericolo anche la salute dei consumatori. A tale riguardo, a circa tre anni dall’approvazione della legge sul caporalato, l’esperienza dimostra che la necessaria repressione da sola non basta ed è invece necessario agire anche sulle leve economiche che spingono o tollerano lo sfruttamento, dalla lotta alle pratiche commerciali sleali fino alle agevolazioni concesse dall’Unione Europea alle importazioni low cost da Paesi a rischio. Le nocciole dalla Turchia, le cui importazioni sono cresciute del +18,4% in quantità nel 2018, arrivano da un Paese sul quale pende l’accusa di sfruttamento del lavoro delle minoranze curde ora assediate in Siria, ma il problema riguarda anche i fiori dalla Colombia dove è stato denunciato lo sfruttamento del lavoro femminile. A preoccupare, come detto, è anche l’accordo di libero scambio siglato con i Paesi del Mercosur. Se per l’Argentina sono segnalati preoccupanti casi di sfruttamento del lavoro nella produzione dell’uva, per il Brasile le ombre riguardano l’allevamento bovino e quello di polli” conclude Coldiretti Ravenna.