L’idea “geniale” è stata lanciata il 24 aprile scorso da un articolone del Corriere della Sera affinché istituzioni e governi fissino una giornata per Dante sul calendario nazionale e universale. Se la proposta l’avesse fatta un dantista, tutti gli altri dantisti lo avrebbero coperto di ridicolo. Ma poiché l’ha fatta il più importante quotidiano italiano, tutti i dantisti sono montati su in un battibaleno. Arriva dunque l’adesione entusiasta di: “Società Dantesca”, “Dante Alighieri”, “Associazione Italianisti”, “Comitato Nazionale per le Celebrazioni 2021”.
Né poteva mancare l’Accademia della Crusca che anzi starebbe avviando le procedure di non infrazione per l’inserimento del “neologismo” nel celebre vocabolario. Il consenso oltre ogni aspettativa, dei più paludati Enti danteschi (che spesso si guardano in cagnesco tra di loro), ha indotto così, il 4 giugno, lo stesso giornalista, sempre sul Corrierone, a proporre anche il nome della giornata: “Dantedì“.
L’unico partito a cogliere al volo la storica occasione “culturale” cadutagli come manna dal cielo è il PD che, tramite un consigliere ravennate alla Regione Emilia Romagna, ha spronato il Governatore Bonaccini a far sua la genialata.
L’ideazza sembrava ormai cosa fatta. Senonché si sono presto materializzate le prime difficoltà tecniche quando si è entrati nel merito: ecco, infatti, scoppiare – proprio tra i dantisti italiani – una lite sorda sulla data del “Dantedì”. Quel giorno fatidico non può essere tra gli ultimi 10 giorni di maggio e i primi 20 di giugno (Dante era del segno dei gemelli) perché si favorirebbe Firenze, la città dov’è nato. Non può essere neanche il 13 o il 14 settembre perché si favorirebbe Ravenna dove Dante è morto. Non può essere il giorno di aprile che per diversi dantisti è quello in cui Dante fa iniziare il suo viaggio nell’aldilà, perché la maggioranza dei dantisti ritiene che sia invece in marzo il giorno in cui inizia la Divina Commedia. Ma neanche quel giorno di marzo è plausibile, sia perché divisivo tra gli studiosi sia perché il 21 marzo è già la Giornata Mondiale della Poesia e le due ricorrenze si sovrapporrebbero inevitabilmente pestandosi i piedi a vicenda. Insomma, dei 365 giorni dell’anno, forse il 29 febbraio sarebbe senza controindicazioni. In questo marasma sul giorno giusto per il “Dantedì” mancava solo l’ipotesi di fare anche il “Leonardì” e il “Caravaggiorno” sostenuta dal più bastian contrario dei critici d’arte.
Ma Dante ha davvero bisogno di un “Dantedì” per diventare un’icona? In quasi tutti i paesi del pianeta la memoria di Dante gode già oggi di ben più di una giornata, ben più di un “framework”, e imprigionare il culto dantesco “in un sol dì” appare riduttivo rispetto all’attuale realtà dantesca presente e operativa su scala internazionale. A me poi sembra poco dedicargli un anno intero.
Tuttavia, personalmente, ho solo un’obiezione linguistica. Il vocabolo “dì” deriva (su radice indoeuropea) dal latino “dies”. Oggi è un termine arcaico e in pratica rimane solo in rare parole composte come “venerdì” o “meridiano” o “buondì”. Scorrendo la Divina Commedia, ci si accorge che era arcaico anche per Dante che nel Poema usa solo due volte il vocabolo “dì” come rima di chiusura di un endecasillabo (e per mera necessità metrica) mentre usa come rima ben dodici volte il vocabolo “giorno”. L’abbinamento del nome “Dante” con questa parolina “dì” (desueta e marginale nel linguaggio parlato) per nominare la giornata mondiale di Dante non è all’altezza dell’inventore della lingua italiana come lingua viva. Quella giornata valorizzerebbe, di quella lingua viva, la parte morta. In attesa comunque che un tale artificioso parto cesareo veda la luce del calendario, intanto, alla domanda “Quando farai il programma dantesco?” potrài finalmente rispondere: “Lo farò Dantedì!”. Cioè, mai.