La Pulce nel Baule, il mercatino dell’usato, che torna domenica 10 marzo, nell’area parcheggio del Pala de André, non smette di sorprendere.
Sempre di più i visitatori, infatti, vogliono raccontare le loro storie.
Dopo la testimonianza di Anna, che a distanza di cinquant’anni ha ritrovato sui banchi espositivi le sue lettere che credeva perdute, un altro visitatore ha voluto raccontare, per la prima volta, la sua straordinaria esperienza.
“Era un periodo non proprio facile della mia vita. Parliamo di circa due anni fa – spiega Antonio, un 38enne lughese -. L’azienda in cui lavoravo, a causa della crisi aveva cambiato i suoi asset e io avrei dovuto trasferirmi all’estero per un lungo periodo… prorogabile! Mia moglie e le mie figlie sarebbero rimaste in Italia e, seppure mi incoraggiassero, c’era in casa un’atmosfera cupa, che mi prende male ricordare. Mi chiedevo se stessi sbagliando tutto. Ma non trovavo le risposte
Soffrivo molto questo ‘sradicamento’ – ricorda Antonio -, anche perché solo pochi mesi prima avevo perso i miei nonni, uno dopo l’altro. Intorno a loro aveva ruotato per anni la vita della nostra famiglia, intorno al loro affetto, alla loro forza. Ero davvero molto giù”.
“Una domenica d’autunno di due anni fa vengo a Ravenna per ritirare da un mio amico alcuni materiali che mi sarebbero serviti durante la ‘nuova vita’ all’estero – riprende Antonio -. C’era freddo e nebbia e mi ricordo di non essere mai stato così giù in quegli ultimi mesi”.
“Sistemo in auto la roba del mio amico e mi preparo a partire – continua Antonio -, quando lui mi fa presente che in città, quel giorno, c’era un mercatino dell’usato dove avrei potuto trovare alcuni oggetti di cui avevo bisogno.
Senza troppa convinzione seguo il suo consiglio e dopo pochi minuti mi ritrovo davanti al Pala de André, tra una distesa di bancarelle colorate piene di gente che scherza e ride, e che fa a pugni col mio umore nero.
Sto per tornare in macchina. ‘Le quattro cose che mi servono le trovo altrove’, pensavo.
Poi non so cosa mi è preso. Sento come se avessi avuto qualcosa da fare lì. E resto.
Giro fra banchi pieni di vestiti, libri, oggetti di ogni tipo – spiega Antonio – quando a un certo punto ne vedo uno che ha tante sculturine in pietra: animali, bambini, barchette… cose così. Ma la cosa bella è che mi accorgo che in mezzo a queste c’è una rosa scolpita.
E’ stato incredibile. Mi sono venute le lacrime agli occhi. E, lo confesso, se non ho pianto è stato solo per mantenere un contegno davanti al venditore.
Io quella rosa la conoscevo bene. L’aveva scolpita mio nonno – che ora non c’era più – anni prima. Io lo avevo visto mentre lo faceva!
Lo dico al venditore che mi guarda sorridendo. Mi chiede se mio nonno si chiamasse Antonio. Gli rispondo di sì. Lui la alza e mi fa vedere, incisa sotto la base, la sua firma, per me inconfondibile. Accanto c’era una frase, di quelle che lui incideva spesso sotto le sue sculture: ‘Una spina è solo una spina’.
Chissà perché lo aveva scritto. Ormai non era più possibile saperlo. Ma io so il significato che quell’incontro ha avuto per me.
È stato come parlargli di nuovo, come un abbraccio. La conferma che ero sulla strada giusta e che dovevo lasciar perdere le paure.
A distanza di due anni, posso dire che non avrei potuto fare scelta migliore”.