Leggiamo dello slittamento al 2020 della chiusura della piscina comunale per dare il via a quello che appare come un bel pastrocchio partorito a discapito dei cittadini – non si sa bene perché – dall’Amministrazione comunale di Ravenna.
Il Comune di Ravenna, prima ancora di qualsiasi bando di gara, si è fatto portavoce di un progetto che prevede la demolizione totale della parte fuori terra della piscina, il rilascio di una fidejussione da 6 milioni di euro da parte del Comune per garantire il costruttore (!),aumenti delle tariffe per il pubblico, nessun miglioramento alle attuali necessità degli sportivi – dato che le vasche restano completamente invariate – rischio di impresa nullo per il consorzio cooperativo Ar.Co Lavori a cui si vuole affidare i lavori di realizzazione, la gestione ed ricavi, e, cosa gravissima, l’interruzione di un pubblico servizio per tempi imprecisati. Visti i progettisti, autori, tra l’altro, degli irrealizzabili “dehors” costati 60 mila euro di progettazione al Comune di Ravenna e del progetto che di fatto ha bloccato per sei anni i lavori di recupero del magazzino ex Sir – progetto costosissimo ed incompatibile con la tutela dell’edificio dichiarato bene culturale nel 2012 –, lo stop si preannuncia dalle tempistiche completamente incerte, presumibilmente di anni. Come fa il Comune a parlare con disinvoltura di soli 6 mesi di chiusura? Che sia questo il motivo dello slittamento, per non iniziare ora ed arrivare alle elezioni comunali 2021 a cantiere ancora aperto?
Ma vogliamo soffermarci su altri punti a nostro avviso completamente oscuri. Perché il Comune decide che la struttura di copertura della piscina, a quel che risulta co-progettata da uno dei più importanti strutturisti internazionali, il professor Massimo Majoviecki, autore di strutture speciali in tutto il mondo, debba essere demolita? Tra le sue opere, citiamo soltanto il bellissimo Palasport di Pesaro, le coperture per lo Stadio della Juventus di Torino e dello Stadio Olimpico di Roma, la copertura del Dipartimento delle Arti Islamiche al Louvre, ma l’elenco è sterminato. Dove sono le perizie che attestano il degrado irrecuperabile delle strutture? Così si buttano i soldi, che il Comune rifonderà alla cooperativa, demolendo inutilmente strutture di valore per i soliti scatoloni prefabbricati in cemento? Perché il Comune non ha presentato ai cittadini i disegni del progetto, quando invece sono già depositati nei suoi uffici? Chiunque visiti la piscina può notare come le strutture portanti della copertura siano ancora in ottimo stato, e che siano invece necessarie manutenzioni, riprese di intonaco e verniciature, rifacimento (quello si, integrale, dell’area spogliatoi/bar), miglioramento della zona tribune, rifacimento del manto di copertura in modo da aumentare l’isolamento termico, ma di certo non la totale demolizione, vasche escluse, di tutto il complesso. Un milione/due milioni di euro possono bastare per mettere a posto tutto? Perché la Giunta comunale, con la delibera di fine anno, decide di spenderne 13,5, di milioni – di cui oltre 1,3 tra spese di progettazione e oneri finanziari – bloccando per tempi indefiniti il servizio e costringendo i cittadini alla diaspora? Una manutenzione ed un rifacimento meno radicale e ben programmato ridurrebbe di moltissimo costi, disagi e tempistiche e magari il Comune potrebbe arrivare a gestire direttamente l’impianto, abbassando sensibilmente anche i costi del servizio.
Infine, per rendere davvero un servizio alla cittadinanza e dotare Ravenna di un vero impianto sportivo secondo tutti i crismi, perché non si pensa, al limite, di realizzare una nuova piscina olimpionica in un’altra parte della città, magari con finanziamenti Coni o fondi regionali, anziché pastrocchi di project financing e fidejussioni varie? Leggiamo, ad esempio, che il nuovo Stadio del Nuoto di Cuneo, omologato per le gare internazionali e dotato di tutti i servizi, è stato appaltato nel 2012 per meno di 8 milioni di euro e i lavori si sono conclusi con una spesa di circa 10 milioni. E’ nostra intenzione lanciare a breve una raccolta firme per chiedere una radicale revisione del progetto.