Il Pd é sempre più il Partito della Distruzione e Stepra ne é un’ulteriore conferma. Il Partito Democratico ravennate ha voluto entrare nel mercato immobiliare con una società pubblica e finanziata con i soldi dei ravennati facendo, così, concorrenza ai privati. Operazione che ha portato a risultati disastrosi di cui i cittadini ne pagano e ne pagheranno le conseguenze in termini di imposte.
Il fatto che Provincia e Comune di Ravenna siano soci di Stepra (insieme alla Camera di Commercio), evidentemente, é irrilevante per de Pascale nonostante il suo duplice ruolo di Sindaco e Presidente della provincia.
Infatti, nel più assoluto silenzio di de Pascale la società Stepra spa ha chiesto al Tribunale di Ravenna, dopo la messa in liquidazione avvenuta il 26 luglio 2013, di essere ammessa al concordato preventivo.
Un silenzio che da anni copre la disastrosa gestione dell’azienda e dei suoi conti in rosso, tanto da non essere stati depositati nemmeno i bilanci relativi al 2016 e 2017.
Tra le omissioni di de Pascale, spicca, poi, quella della mancata comunicazione pubblica relativa alla richiesta di Stepra, datata 12 settembre 2018, per l’ammissione al concordato preventivo. Concordato ancora in fase di valutazione presso il Tribunale di Ravenna.
Evidentemente per de Pascale i ravennati non devono sapere nulla anche di questo ennesimo disastro del Pd a spese dei cittadini.
Che la messa in liquidazione nel 2013 da parte dei soci della Stepra fosse volta solo a prendere tempo e non ammettere pubblicamente la gravità della sua situazione economico e finanziaria, é comprovata dal fatto che la liquidazione è accentuata rispetto a 5 anni fa e che solo ora richiedano, come detto, il concordato preventivo.
I risultati economici degli esercizi 2013, 2014 e 2015 sono impietosi e tutti con segno negativo e perdite che ammontano a € 1.482.865 (2013), 1.587.900 (2014) e 2.131.423 (2015) per un totale complessivo di € 5.202.187.
Già quando nell’esercizio 2014, il patrimonio netto della Stepra era negativo di € 271.510 i soci avrebbero dovuto portare i libri in Tribunale e chiedere il fallimento del Società. A maggior ragione dopo l’esercizio 2015 dove il patrimonio netto era in negativo per 2.166.776 Euro.
Questo significa che é stato bruciato l’intero capitale sociale di € 2.160.000 dagli enti pubblici, Camera di Commercio e Provincia di Ravenna in testa con € 1.047.820 ciascuna.
A questo si aggiunga il fatto che i bilanci dei 2 anni successivi il 2016 e il 2017 non sono stati depositati, impedendo così ai creditori, e tra questi lo Stato, di conoscere la reale situazione economica, finanziaria e patrimoniale di Stepra.
Numerose perplessità avvolgono la gestione di Stepra da parte degli amministratori e le modalità di messa in liquidazione della Società.
Come forti dubbi sono destati dalla gestione della liquidazione stessa.
Il mandato del liquidatore, Dottor Giovanni Nonni, infatti, indicava una durata della procedura di messa in liquidazione di massimo 5 anni, con previsione di conclusione entro il 2017. Previsione poi spostata al 2019 e ancora al 2023 dallo stesso Dottor Nonni, il quale, peraltro, percepisce la bellezza di 30.000 euro/anno per questo incarico.
Anche la Corte dei Conti dell’Emilia- Romagna, lo scorso 10 aprile, ha invitato il liquidatore ed i soci pubblici ad assumere tutte le iniziative necessarie per una rapida conclusione delle procedure di liquidazione.
Va detto, anche, che la liquidazione avrebbe dovuto agevolare la vendita dei terreni urbanizzati a destinazione artigianale, per poi revocare la procedura e continuare l’attività della Società.
In questi anni di terreni ne sono stati venduti pochissimi a fronte di un notevole appesantimento dei costi della Società, con spese di procedura ed interessi gravanti sul debito bancario.
Senza l’adozione di un piano industriale serio e credibile, gli amministratori della Stepra hanno acquistato e urbanizzato terreni per insediamento di attività produttive per 909.000 mq., vendendone, fino al momento della liquidazione, meno della metà.
La motivazione della crisi di Stepra addotta dagli ex amministratori é da addebitare alla grave crisi economica di questi anni che avrebbe impedito alla Società di vendere i restanti 513.810 mq.
Una argomentazione difficilmente credibile poiché manca totalmente della valutazione di elementi fondamentali quali la congruità del costo di acquisizione dei terreni e del costo delle urbanizzazioni.
Senza dimentica la responsabilità di non avere preso in considerazione gli effetti della crisi economica e l’assenza di un Piano industriale che potesse garantire la sostenibilità dei progetti della Società.
Certo é che Stepra, grazie ai prestiti concessi dalle banche, ha ridotto la liquidità nel mercato destinato a finanziare le imprese ravennati.
Ora a fronte di questa situazione gravissima crediamo che sia opportuno, anche al fine di tutelare i soci pubblici, avviare un’azione di responsabilità verso gli ex amministratori e verso il liquidatore.
Al fine di stimolare de Pascale, che continua a starsene con le mani in mano nonostante possa agire su Stepra in qualsiasi momento, ho depositato una mozione in Consiglio Comunale.
Forse l’immobilismo di de Pascale é motivato dal fatto che dovrebbe andare contro i suoi predecessori, ovvero il suocero Claudio Casadio e il compagno di partito Stefano Giangrandi nonché alcuni dirigenti delle principali associazioni di categoria come Giorgio Guberti direttore di Confcommercio Ravenna, Sergio Folicaldi ex direttore di Confartigianato e Mauro Basurto direttore di Confimi Romagna, solo per citarne alcuni.
Tutti amministratori che dal 2003 al 2012, hanno gestito la società sviluppando gli investimenti ricorrendo all’eccessivo indebitamento bancario.