Continua il dibattito attorno all’Unione della Romagna Faentina e al suo percorso di riforma. Dopo le ultime critiche dell’opposizione, a firma Movimento 5 Stelle, è il turno del Partito Democratico controbattere:
«Nel 2012 i Comuni di Brisighella, Casola Valsenio, Castel Bolognese, Faenza, Riolo Terme e Solarolo, hanno dato vita all’Unione dei Comuni della Romagna Faentina. Da allora sono trascorsi quasi 7 anni, durante i quali il processo di costruzione dell’Unione è andato avanti secondo un progetto finalizzato alla crescente integrazione politico-amministrativa tra i 6 Comuni, per migliorare i servizi rivolti ai cittadini e realizzare standard di qualità identici in tutto il territorio, aumentare l’efficienza riducendo i costi ed omogeneizzando regole e procedure, attraverso il conferimento dei servizi comunali e del personale all’Unione.
Si tratta del più importante processo di innovazione istituzionale messo in atto negli ultimi decenni in ambito locale, dal quale ci attendiamo un importante contributo alla crescita e alla qualificazione di tutto il territorio e delle singole comunità locali.
A proposito poi della “mancata consultazione popolare sulla realizzazione dell’Unione” vale la pena ricordare, a chi se ne fosse dimenticato o non ne fosse a conoscenza, che dal 1999 nei Comuni dell’Appennino Faentino e dal 2009 in tutti i Comuni del comprensorio, le liste civiche di centrosinistra e le alleanze di centrosinistra, hanno inserito nei rispettivi programmi elettorali l’obiettivo, l’impegno, a realizzare l’Unione dei Comuni, chiedendo agli elettori un chiaro mandato a procedere su questa strada.
E su questa strada si è proceduto: l’Unione non è una fusione. Vuole essere il modo concreto ed efficace per coniugare i benefici e i vantaggi derivanti dalla gestione associata dei servizi con la salvaguardia dell’autonomia e dell’identità dei singoli Comuni e delle rappresentanze democraticamente elette, secondo un disegno di riorganizzazione, di sviluppo e di crescita territoriale condiviso.
Ora, a ormai sette anni dall’avvio del processo di costruzione dell’Unione dei Comuni della Romagna Faentina, forti dell’esperienza realizzata – con il completo conferimento all’Unione del personale dei Comuni e della gestione di tutti i servizi – è possibile individuare e introdurre quei correttivi e quelle innovazioni nell’assetto politico e organizzativo e anche nelle criticità che la concreta pratica amministrativa, nella relazione tra organi comunali e organi dell’Unione, tra decisioni di interesse locale/comunale e comprensoriale, ha messo in evidenza.
E lo si può fare a partire dalla revisione, dalla riforma dello Statuto dell’Unione, il cui scopo principale – sia detto per inciso – non è “come uscire dall’Unione”, condizione questa prevista e regolata dallo Statuto, ma “come si sta nell’Unione”, con quali regole democratiche e di decisione.
Oltre ad ascoltare le osservazioni e i contributi critici delle minoranze, abbiamo promosso e voluto – come PD, a partire dall’ottobre dello scorso anno – un confronto e un approfondimento che si è sviluppato attraverso assemblee pubbliche, incontri con le rappresentanze politiche e istituzionali, che è servito a definire gli obiettivi a cui ispirare il progetto di revisione e riforma dello Statuto dell’Unione:
1 – Pur in un quadro di Unione, il ruolo degli Organi dei Comuni e in particolare dei Consigli comunali – in quanto assemblee elette e quindi espressione della volontà popolare – dev’essere pienamente e convintamente preservato e garantito sia per tutte le materie che non rivestono dimensione sovracomunale sia per le materie conferite all’Unione, per le quali il percorso decisionale non può essere delegato solo e soltanto ai vertici dell’Unione e deve anzi vedere il preventivo pronunciamento dei singoli Consigli comunali. É così che si tutelano le identità e le specificità dei singoli Comuni.
2 – Gli Organi dell’Unione devono rispondere a precisi criteri di rappresentanza che tengano conto del diverso peso dei singoli Comuni, della necessità/opportunità di comprendere tutte le maggiori formazioni politiche presenti nei Consigli comunali, delle diverse leggi elettorali a seconda delle dimensioni dei Comuni.
3 – Il metodo di lavoro degli Organi dell’Unione dev’essere tale da consentire l’effettiva e preventiva conoscenza degli atti e quindi l’espressione di posizioni meditate e consapevoli da parte di tutti. Dovrà inoltre essere certa la condizione di pari opportunità per tutti i Comuni e per tutti i loro abitanti.
4 – L’Unione dovrà farsi promotrice di una efficace e permanente attività di informazione per far conoscere le sue attribuzioni e per mettere i cittadini in condizione di sapere – e quindi di giudicare – chi è titolare delle diverse responsabilità e, periodicamente, informare circa l’efficacia delle azioni promosse in relazione ai bisogni, alle risorse disponibili e ai costi.
5 – In particolare tutte le decisioni di rilevante interesse anche su materie conferite all’Unione (come progetti e programmi specifici, decisioni inerenti i servizi sociali, sanitari, scolastici, l’ambiente, l’urbanistica, la vendita o l’acquisto di immobili, ecc.) dovranno seguire un percorso democratico, coinvolgendo sia gli Organi dei singoli Comuni, sia percorsi partecipativi aperti alle associazioni presenti sui territori e i singoli cittadini interessati, prevedendo anche forme di partecipazione consultiva.
6 – Particolare attenzione dovrà essere rivolta al maggiore coinvolgimento possibile dei dipendenti, ascoltandoli, promuovendone la professionalità e limitandone i disagi. Essi, soprattutto nei Comuni più piccoli, costituiscono per i cittadini dei referenti conosciuti e affidabili. É anche su questi rapporti che vive il senso di comunità e la percezione del ruolo del Comune.
Per questi obiettivi, con queste finalità, intendiamo proseguire e sviluppare il dialogo e il confronto con tutte le forze politiche e consiliari per arrivare possibilmente entro l’anno e con il consenso più ampio possibile, all’approvazione del nuovo Statuto.
Alcune osservazioni e precisazioni, infine, vogliamo rivolgerle alle affermazioni del M5S sulla modifica degli statuti delle società partecipate, con la quale si sarebbe “superato il principio di decisione in base alle quote di capitale e si è prevista la necessità di consenso di almeno la metà del numero di Enti pubblici azionisti”.
Il riferimento è chiaramente al Consorzio AMI (Con.Ami), con sede a Imola e a cui sono associati anche i 6 Comuni della Romagna Faentina (Consorzio che, in ogni caso, non si configura come una “società partecipata” ma come un “Ente Pubblico Economico”).
Le cose non stanno così, così come non è vero che “una decisione già presa di distribuzione di fondi di riserva a beneficio dei comuni azionisti non viene onorata per mettere in difficoltà un unico azionista, il Comune di Imola”, lasciando intendere che si tratti di una ritorsione contro il nuovo governo M5S del Comune di Imola.
Proviamo allora a mettere in fila alcuni concetti, e a liberare il campo da imprecisioni, inesattezze e cose non vere.
Lo statuto del ConAmi è stato cambiato con un percorso iniziato in seguito all’entrata in vigore della legge Madia, che riguardava le società partecipate, al fine di evidenziare che il ConAmi non è una “società partecipata” ma un Ente Pubblico Economico, quindi senza gli obblighi propri delle società partecipate.
Per rafforzare il suo carattere di Ente Pubblico Economico, il ConAmi ha deciso di aumentare il peso della rappresentanza territoriale rispetto a quello patrimoniale, che invece è tipico delle aziende (che sono l’oggetto delle disposizioni della legge Madia).
Ma è opportuno chiarire anche che già prima delle modifiche introdotte, lo Statuto del ConAmi prevedeva che una vasta serie di decisioni non rispondessero esclusivamente ai limiti della maggioranza patrimoniale. In altre parole non è vero che, prima delle ultime modifiche statutarie, il ConAmi fosse una società patrimoniale nella quale si decideva a colpi di maggioranza sulla base delle quote di partecipazione detenute.
Per quanto riguarda, poi, il percorso deliberativo delle modifiche statutarie – avviato già alla fine del 2016 – questo ha coinvolto tutti i Comuni dove il Presidente del Consorzio si è personalmente presentato per esporre le modifiche. Le opposizioni che erano presenti non hanno mai criticato né contestato le modifiche statutarie che introducevano l’allargamento della base necessaria a prendere le decisioni.
A proposito poi del fatto che “sarebbe stata ritirata la decisione già presa della distribuzione dei fondi di riserva per mettere in difficoltà il comune di Imola” è vero che quella decisione non è mai stata presa.
In seguito alla decisione del TAR di accogliere il ricorso contro l’ampliamento della discarica Tre Monti di Imola – quella che utilizzavano anche i nostri Comuni -, nel gennaio 2018 il ConAmi ha presentato ricorso al Consiglio di Stato chiedendo la sospensione cautelare: il Consiglio di Stato, nel maggio 2018, ha detto che non l’avrebbe concessa e che si sarebbe andati a sentenza, prevista per il 20 dicembre 2018.
In seguito a ciò, il Presidente del ConAmi il 5 giugno scorso, nell’Assemblea dei soci (presieduta dal Comune di Imola, nella persona del commissario prefettizio), dopo aver deliberato un utile di € 8,1 milioni, da distribuire ai Comuni e in crescita rispetto agli anni precedenti, spiegava che era prudente iniziare a considerare i ricavi del settore ambiente (in gran parte derivanti dall’attività della discarica) a forte rischio (per una riduzione dei ricavi di circa 1,2 milioni) e quindi che, in prospettiva , negli anni a venire (2019 e 2020) sarebbe stato prudente prevedere una riduzione degli utili dagli attuali 8,6 milioni (previsione 2018) a circa 7,5 milioni.
In quell’occasione il Presidente aveva poi spiegato che i 3,6 milioni di riserve sarebbero serviti nei prossimi 2 anni per garantire la stessa distribuzione di risorse ai Comuni del 2018, in attesa di un nuovo iter per l’ampliamento della discarica.
Pertanto in quella assemblea di giugno 2018 i sindaci – e tra questi il Commissario del Comune di Imola – presero atto e si dichiararono favorevoli a non distribuire riserve nel 2018 in attesa di vedere i risultati del Consiglio di Stato.
Quindi non c’è stata una decisione precedente di distribuire le riserve; l’argomento “distribuzione riserve” viene affrontato il 5 giugno per decidere di non procedere.
Inoltre, se oggi si distribuissero le riserve, per la prima volta dalla sua costituzione il ConAmi vedrebbe azzerate le riserve: sarebbe una imprudenza e un possibile danno per la continuità della gestione del Consorzio.
Resta il fatto che, nel 2018, il Comune di Imola ha ricevuto il riparto dell’utile, pari al 66% di 8,1 milioni di euro»